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Dal Vangelo secondo Marco
10,35-45 In quel tempo, si
avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli:
“Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo”. Egli
disse loro: “Cosa volete che io faccia per voi?”. Gli risposero:
“Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua
sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere
il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?”.
Gli risposero: “Lo possiamo”. E Gesù disse: “Il calice che io bevo anche
voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere
alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i
quali è stato preparato”. All’udire questo, gli
altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili
a sé, disse loro: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni
le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. L'episodio
si situa subito dopo il terzo annuncio della Passione (Mc
10, 32-34). E come già era successo
per gli altri annunci, la reazione dei discepoli indica la lontananza del cuore
dalle parole del maestro: due dei discepoli si preoccupano dei primi posti nel
Regno e gli altri si indignano. E’ davvero difficile entrare nella logica
apparentemente assurda di Gesù ed è complicato comprendere il mistero del
Regno, se come criterio usiamo il solo interesse individuale. I
due che avanzano richieste – Giacomo e Giovanni – sono fratelli, fanno parte
del primo gruppo dei compagni di Gesù (Mc 1, 19-20),
sono soprannominati boanerghes ("figli
del tuono" Mc 3,17).… un po'
irruenti dunque. Pur
prendendo delle precauzioni nella richiesta, è chiaro che hanno delle ambizioni
notevoli. Secondo la tradizione, essi erano forse cugini di Gesù, e quindi –
secondo la legge orientale – avevano un diritto particolare, come membri della
famiglia. Comunque,
parenti o meno, non hanno capito nulla di quello che Gesù aveva detto e stava
per fare. Si avviava all'annientamento sulla croce e loro conversano del potere. Il
vero potere di Gesù non consiste nel distribuire posti di prestigio, ma nel far
partecipare al suo destino che, prima di essere glorioso, passa per la strada
della sofferenza. Attraverso
le due immagini del calice e del battesimo Gesù sembra chiaramente evocare la
sua morte violenta, che egli presagisce come passo necessario di fedeltà verso
il Padre. La
risposta alla loro richiesta di sedersi accanto a lui è molto evasiva: ma si
capisce che vuole mostrare che non è quello il modo per ottenerlo. "Gli
altri dieci si sdegnarono" Chiaramente
anche gli altri condividono la stessa ambizione, il fatto che si ricordi
lo sdegno, che non fa fare bella figura ai discepoli, è probabilmente fondato
in qualche episodio: e per questo deve essere proprio autentico. Concedici
di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra Da
tempo immemore si parla di una Chiesa ancora troppo gerarchica. La democratizzazione
della chiesa, certamente necessaria, non sarà tuttavia una garanzia di fedeltà
al vangelo. Chi è assetato di potere in questa chiesa non smetterà di bramare
il potere soltanto perché si cambiano alcune modalità… La
democrazia in questi anni si è spesso presentata come un gioco di equilibri una
conciliazione di egoismi, una spartizione oculata, ma quasi onnipresente, fra
assetati di potere. E’ un problema di cuore malato e di mente ottusa. C’è un delirio di onnipotenza che è un pericolo molto
presente sia tra le persone che hanno i mezzi per ottenere il dominio sugli
altri, sia tra le persone di modeste possibilità. E’ un brulicare di
tensioni: competizioni, confronti, raggiri, trucchi… sia nel mondo della
politica che nel mondo del lavoro, fino a scendere nella propria famiglia. Questo bisogno di potere nasconde una grande infermità del
cuore: si è potenti quando si hanno gli altri ai propri piedi o quando si è
nella possibilità di ferire gli altri, essere qualcuno a scapito di
altri. Persone ammalate che diffondono malessere e disagio. Il
Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire I
grandi del mondo si costruiscono imperi di oppressi, di conquistati, di uccisi. Dio
non è così. “tra voi non è così”. Dio non ha troni, si cinge un
asciugamano, s'inginocchia davanti a ciascuno, il suo impero è quel poco di
spazio che basta a lavare i nostri piedi. Da
lì, dal basso cerca gli occhi d'ogni figlio, cerca le ferite di ogni cuore per
fasciarle con bende di misericordia. Essere
sopra l'altro è la massima distanza dall'altro, Dio invece si pone alla massima
vicinanza, ai nostri piedi. Troviamo
il fondamento della legge che offre la “costituzione” della comunità: si è
cristiani seguendo lo stile del Maestro, donando come lui la vita in spirito di
servizio. Si
diventa "signori" attraverso il dono della vita e non per pretesa. dare
la propria vita in riscatto per molti Concetto
difficile ma che possiamo intenderlo bene considerando le parole che Gesù
pronuncia nell'ultima Cena: “questo è il mio corpo…questo è il mio
sangue” Tutta
la vita di Gesù allora è sotto la luce del "riscatto", della
fedeltà fino alla fine per la libertà degli uomini. Di tutti gli uomini, senza
esclusione alcuna. Si
priva della libertà, per donare libertà, per riscattare dalla non libertà. Lo
statuto della comunità dei discepoli è così caratterizzato dal servizio,
dalla non ambizione, dalla vita donata e vincolata al riscatto degli altri. Un
servire, quello di Gesù, che libera noi schiavi. Un
servire che trova compimento con la morte, e con questa morte vissuta per noi,
ci libera da ogni legame a quei poteri che ci rendono schiavi. Che
follia! La
follia della croce: Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani (1Cor1,23)
Ma che percezione di verità e di autenticità in questa scelta folle: la morte
di Gesù, lontano dall’essere interpretato un fallimento, diviene la più
profonda espressione del suo amore e della sua comunione con me. Se è Gesù stesso che vive la sua morte per me, non
c’è più nulla nella mia vita e nella mia morte che mi possa separare da lui. La sua morte in completo abbandono, in solitudine,
nella croce, per noi è il segno più evidente della fine di ogni nostra
schiavitù e di ogni nostra solitudine.
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