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Dal libro del profeta Amos
Così dice il Signore onnipotente:
“Guai agli spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
Essi su letti d’avorio
e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano al suono dell’arpa,
si pareggiano a Davide negli strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò andranno in esilio
in testa ai deportati
e cesserà l’orgia dei buontemponi”. (Amos 6,11-16)

 

Nel testo tutti i sensi sono coinvolti: vista, tatto, gusto, udito, e olfatto, in una sagra del lusso che culmina nelle "primizie dei profumi". Alcuni paralleli con l’oggi sono sorprendenti: un'epoca di prosperità e benessere; il lusso sfrenato che induce all'indifferenza; forti disuguaglianze; la corruzione e l'arroganza degli arricchiti.

Rileggendo le parole di Amos mi chiedo quanto le parole che risuonano nelle chiese rischiano di essere superficiali, non in linea con lo stile del profeta che parte da una conoscenza accurata dei fatti, da un discernimento profondo sulla situazione, e arriva a formulare una denuncia precisa.

Il suo linguaggio è lucido, potente, efficace.

Viene da chiedersi se la Chiesa di oggi, (se noi di chiesa) non sia forse troppo poco profetica.

…se vuol essere fedele alla sua missione, potrà (potremo) piacere a tutti?

 

+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: “C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.
Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi.
E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi”. (luca 16,19-31)

 

Chissà quante volte in ciascuno di noi, nel guardandosi attorno, è aumentato il senso di fatalismo riconoscendo che non c’è cambiamento, non c’è storia: le cose stanno così e basta, c’è poco da fare…

Anche nella prima parte della parabola manca un vero sviluppo narrativo.

Il ricco resta ricco, Làzzaro resta povero, bramoso di sfamarsi delle briciole.

 

Forse è proprio l'immobilità una delle cifre fondamentali del peccato riguardo alla ricchezza.

Ci si rassegna al fatto che le situazioni restino bloccate, senza speranza per i poveri, senza possibilità di apertura per i ricchi. Il circolo vizioso del benessere impedisce di guardare a Dio e di guardare ai fratelli (in fondo il ricco non ha trattato male Lazzaro …”semplicemente” non l’ha visto) un circolo vizioso fatto di modi di pensare, di vedere e di circondarsi solo di “certa gente” impedisce di rendersi conto che non vedere le necessità e non intervenire per risolverle e questo è male.


Occorre un punto di vista diverso e la parabola ce lo offre:  un' aldilà di fantasia, dove il padre Abramo può conversare con i dannati. Solo da questo osservatorio privilegiato è possibile constatare come la vita del ricco non gli abbia permesso di accumulare nessun tesoro in cielo. Soltanto dei tormenti. Ma è troppo tardi: bisogna convertirsi quando è il tempo

Sembra una sana preoccupazione, la seconda richiesta del ricco, è per i propri fratelli ancora sulla terra: di fronte ad un segno straordinario, potranno cambiare vita.

Ancora un rifiuto: bisogna accontentarsi dei segni poveri che si hanno. La parola della Scrittura, la testimonianza, sono i segni sufficienti per la conversione.

Tutto il vangelo, “buona notizia” per la nostra vita ci avverte in realtà su cosa ci tiene irrimediabilmente lontani da Dio e può rovinare definitivamente la nostra vita: la nostra irrimediabile lontananza da chi ha bisogno.

Ci sono fratelli in difficoltà lontano da noi, ingiustizie enormi che gravano su tanta povera gente, ma c’è anche un enorme numero di fratelli “vicini” che vivono situazioni di concreta difficoltà

…che tristezza accorgersi che spesso chi pretende di risolvere i problemi del mondo trova sempre il pretesto per non fare nulla di puntuale e concreto (che tocchi il suo tempo, i suoi programmi e il suo portafoglio) rispetto a chi vive vicino.

 

 

Questa domenica ho dedicato spazio alla “dimensione sociale” della lettura dei testi, per compensare la sottolineatura “personale” di domenica scorsa… ma questi e altri aspetti sempre vanno coniugati insieme, la vita è sempre molto più grande delle nostre parziali letture.

Per chi vuol approfondire sul “personale” suggerisco una riflessione sull’esilio.

 

Infondo sia la prima lettura che parla dell’esilio come ultima destinazione degli “spensierati di Sion”, sia il vangelo che prospetta al ricco l’inferno, ci dicono che occupare il tempo nella ricerca delle ricchezze e comodità ed essere occupati dalle ricchezze e dalle comodità ha come esito una profonda alienazione da noi stessi. Quante volte guardiamo a chi ha e possiede con la percezione di un sospiro che sale da dentro “…se avessi anch’io…”; riscontriamo poi che critiche e giudizi verso tanti possidenti spesso nascondono più invidia che una scelta chiara a favore di una necessaria e opportuna sobrietà.

Non possiamo sottrarci ancora a questa domanda: quali sono le cose che cerchiamo e che davvero contano per noi?  L’esilio dalla propria terra, l’esilio dalla propria vita… l’insoddisfazione profonda sono incombenti su tutti e su ciascuno.

La Parola oggi ci dice che l’unica terra che sarà sempre la nostra terra sarà quella che condivideremo con chi è necessitato, l’unica vita che ci apparterrà per sempre sarà la vita condivisa.