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+ Dal Vangelo
secondo Matteo
25,14-21 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui
che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò
altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri
due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel
terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Presentatosi
poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due
talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli
rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto;
prendi parte alla gioia del tuo padrone. Il
commento è di padre Ronchi, un religioso, dei “Servo di Maria”, mi è
piaciuto e ve lo consegno così come l’ho trovato Talenti affidati, poema della creativitàLa parabola dei talenti è una
lieta notizia contro la paura, che stravolge il rapporto con Dio e rende sterile
la vita. L'ultimo servo non ha capito che, affidandogli il talento, il padrone
vuole fare di lui un amico; che quel talento è un dono di comunione, un atto di
fiducia. Su tutto invece incombe la
paura del castigo, e il dono da opportunità si trasforma in incubo. Il servo ha
paura di Dio! Ne ha un'immagine orribile: sei duro... tu mieti dove non hai
seminato... Errore fatale: si sbaglia su Dio e quindi sbaglia la vita; diviene,
invece che amico, schiavo inerte, Adamo senza più giardino. Perché solo quando
ti senti amato dai il meglio di te stesso, e mai la paura ti libera dal male. Dio invece sorprende i servi.
Non vuole indietro i talenti affidati, raddoppia la posta, la moltiplica: sei
stato fedele nel poco ti darò autorità su molto. Non di una restituzione si
tratta, ma di un rilancio. Noi non esistiamo per restituire a Dio i suoi doni.
Questa immagine, dettata dalla nostra paura, immiserisce Dio. Noi viviamo per
essere come Lui, a nostra volta donatori: di pace, libertà, giustizia, gioia.
Cose di Dio, che diventano seme di altri doni, sorgente di energie, albero che
cresce, orizzonte che si dilata, grazia su grazia. Gloriosa e gioiosa pedagogia
di vita. La parabola dei talenti è il
poema della creatività. E senza voli retorici. Nessuno dei tre servi crede di
dover salvare il mondo. Tutto invece odora di casa, di vite e di olivi, o, come
nella prima lettura, di lana, di fusi, di lavoro e di attesa: fedele nel poco.
Il mondo e la vita ci sono affidati come un dono che deve crescere, un giardino
incompiuto che deve fiorire. Una spirale di vita crescente è legge alla
creazione. Pena il non senso della vita. Dopo la lunga assenza di Dio, la sua
lunga fiducia in noi, il giudizio non sarà sulla quantità del guadagno, ma
sulla qualità del servizio; non sul numero, ma sulla verità dei frutti. Devo camminare con fedeltà a
me stesso, emozionato e disciplinato servo della vita, vero della verità
tracciata in me da Dio. Nessuno è senza talenti. È legge della creazione. E vado avvolto da doni di Dio.
Ogni creatura che incontro è un talento, da custodire e lavorare per fare ricca
la mia e l'altrui vita. Ognuno è talento di Dio per gli altri. «Come talento
io ho ricevuto te». Lo può dire la sposa allo sposo, il figlio al padre,
l'amico all'amico: sei tu il mio talento! Poterlo dire a qualcuno, poterlo dire
a molti, per entrare così con passo creatore nella liturgia della vita. |