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+ Dal Vangelo
secondo Marco
9,2-10 In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e
Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si
trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime:
nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro
Elia con Mosè, che discorrevano con Gesù. Questo
annuncio aveva sconvolto Pietro e sommerso i discepoli in una profonda crisi. Loro si
trovavano in mezzo ai poveri, ma nella loro testa c'era confusione, persi
com'erano nella propaganda del governo e nella religione ufficiale dell'epoca (Mc
8,15). La religione ufficiale insegnava che il Messia sarebbe stato glorioso e
vittorioso. Ed è per questo che Pietro reagisce con molta forza contro la croce
(Mc 8,32). Un condannato alla morte di croce non poteva essere il messia, anzi,
secondo Dinanzi a ciò,
l'esperienza della Trasfigurazione di Gesù poteva aiutare i discepoli a
superare il trauma della Croce. Infatti, nella trasfigurazione, Gesù appare
nella gloria, e parla con Mosè e con Elia della sua Passione e Morte (Lc 9,31).
Comincia a
farsi strada la percezione che il cammino della gloria possa seguire un
itinerario diverso da quelli pianificati e che possa passare quindi per la
croce. Trasfigurato
non è che l’uomo Gesù, rifiutato e rinnegato da tutti, incamminato verso la
croce, che si manifesta totalmente altro, accolto e confermato da Dio. Nella
sua umanità crocifissa si rivela la sua più vera natura, la gloria di Dio. Il
volto di Gesù trasfigurato e pieno di luce, che rivela la pienezza di tutta la
storia della salvezza, nel suo parlare con Mosè ed Elia, è un preludio della
sua realtà post-pasquale e definitiva; la
stessa che è promessa ad ogni uomo… …eppure
abbiamo tutti presente come questa immagine sia spesso sfigurata in tanti volti
umani, ho presente il documento dei Vescovi latinoamericani a Puebla (Messico,
1979): "Questa situazione di estrema povertà generalizzata acquista nella
vita reale dei lineamenti molto concreti, nei quali dovremmo riconoscere le
sembianze del Cristo sofferente, del Signore che ci interroga e ci
interpella"...e continua: volti di bambini malati, abbandonati,
sfruttati; volti di giovani disorientati e sfruttati; volti di indigeni
e di afroamericani emarginati; volti di campesinos abbandonati e
sfruttati; volti di operai mal retribuiti, disoccupati, licenziati; volti
di anziani emarginati dalla società familiare e civile (cfr Puebla
32-43). E
la lista continua con i tanti volti sfigurati che ognuno di noi incontra nel
proprio ambiente. Contemplare
il volto di Cristo trasfigurato non può farci accampare nessun pretesto per un
disimpegno qui su questa terra, il futuro non piove dall’alto, ma pretende di
tradursi in storia. L’ascolto di Cristo trasforma la vita del discepolo: nel
tentativo di vivere come Cristo ha vissuto, senza fughe o evasioni, qui su
questa terra, con l’aiuto di ciascuno, si può realizzare la promessa finale
della gloria di Dio. Che
difficile scorgere un’altra dimensione nel cuore di tutto ciò che ci
circonda, nel cuore di questa realtà terrestre così opaca e resistente, così
pervasa dal male, dall’assurdo dal negativo. Facciamo
fatica tutti a scoprire qualcosa che stia al di sopra o al di sotto della nostra
esperienza quotidiana e che costituisca il centro di tutto ciò che facci mo o
subiamo. Spesso
ci sentiamo incapaci di superare noi stessi, le nostre vicende e leggere i segni
della presenza attiva di Dio nella storia, cogliendone il significato. Marco
ci offre con questo testo la percezione che solo l’ascolto del Figlio, svelato
nel servo sofferente, compie il miracolo di schiudere in noi l’orizzonte vero
in cui siamo immersi. In
tale ascolto la realtà ci appare più trasparente, un mondo di segni, di voci e
di colori di cui si coglie non solo la presenza ma anche il significato. “Questi
è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo”: solo così si percepisce nella realtà un senso
profondo e portante. Nell’ascolto
di Gesù la storia trova la propria
consistenza e il valore definitivo: se la radice è costituita dal legno della
croce, il frutto è costituito dalla vita piena Una
trasfigurazione progressiva che troverà il suo compimento nella liberazione
integrale di ogni uomo, vinto ogni male, riconciliato con se stesso, con il
fratello, con il creato e con Dio. L’esperienza
del Tabor ci indica che la trasformazione qui sarà solo manifestazione
passeggera che rimanda all’ultima e definitiva. Non
è ancora il tempo della contemplazione definitiva, abbiamo A noi che già vorremmo essere arrivati, già
vorremmo finalmente la pace, la giustizia, è chiesto ancora di camminare, di
ricominciare nella novità che ancora quella Parola offre e indica a ciascuno. Sì, ci è concesso qualche momento di pausa, di
serenità, di contemplazione, di gioia nel gustare e nel vivere momenti che
aprono nuove prospettive, nuovi orizzonti, che ci fanno gustare le bellezze
della vita: musica, arte, approfondimenti di ciò che stiamo vivendo e che ci
aprono alla speranza, la compagnia e l’affetto delle persone che amiamo. Far
tesoro di tutto ciò diventa necessario: importante gustare, vivere il più
possibile svegli anche se il sonno delle nostre paure ci minaccia
fortemente. Necessario custodire la memoria di una luce anche se lontana però
reale, il ricordo vivo di un amore accolto e donato. Per
poter trarre forza, per andare avanti, per trovare coraggio di scelte che
daranno senso al nostro vivere. Ma
non è possibile bloccare questi momenti. La
luce del Tabor è per affrontare il cammino verso la grande oscurità del
Calvario. “Ascoltate”
questa è l’unica traccia che ci è lasciata per rivivere l’efficacia della
luce. La
luce della trasfigurazione ci viene consegnata nella Parola e nei Sacramenti,
nell’amore delle persone, nella bellezza delle cose. Il
mondo è intriso di luce che fa accendere tutti i colori dell’umanità, lo
sanno i bambini, lo sanno gli artisti, coloro che amano, i puri di cuore di ogni
credo religioso. Sulla
croce Gesù non viene annientato né distrutto nella sua dignità. Egli
non resterà nella morte, ma risusciterà il terzo giorno. Nel
vangelo che prepara alla trasfigurazione si parla di rinnegare se stessi:
prendere distanza dai propri interessi, preoccuparsi non di difendere
esclusivamente le nostre percezioni e i nostri punti di vista, ma professare Dio
che è totalmente diverso dalle nostre rappresentazioni che ci facciamo di lui. La
fede autentica in Gesù non è per servirsi ma per servire, solo così la nostra
vita si trasfigura. La
croce su cui Gesù muore per il mondo intero è per Marco, un’immagine della
tolleranza che Invece
di riservare per sé il diritto di una rappresentanza esclusiva, essa deve
confidare nel fatto che anche altri uomini –a contatto con il dolore e la
sofferenza della vita- comprendono il mistero di Gesù e del suo Dio e ne
rendono a modo loro testimonianza. La
croce vuole rompere la ristrettezza della meschinità ecclesiale e aprire il
cuore all’amore di Dio che vale per tutti gli uomini. Girare
sempre attorno ai propri bisogni, alla propria vita, al proprio riconoscimento,
alla propria grandezza e al proprio potere. La
croce è proprio il contrario: il dono della vita, l’affidarsi al Bene,
l’abbandonarsi, il rimettersi alla volontà di Dio, volontà di Vita e di Bene
per tutti e per ciascuno. Solo
in questo modo la vita trova la sua riuscita, si trasfigura. E
anche noi con un volto di luce alla fine del grande viaggio. E
con noi la storia. Anche
la storia avrà la sua luce splendente: che bello pensare ai nostri volti oggi
sfigurati e alla trasfigurazione a cui siamo chiamati; quanta bellezza se la
bellezza che constatiamo in questo mondo ogni giorno è solo una sfuggevole
immagine di ciò che sarà alla fine!
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