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+ Dal Vangelo secondo Marco   9,2-10

 

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè, che discorrevano con Gesù.
Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!”. E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.

La Trasfigurazione di Gesù, se guardiamo i versetti precedenti al nostro testo, avviene dopo il primo annuncio della sua morte.

Questo annuncio aveva sconvolto Pietro e sommerso i discepoli in una profonda crisi.

Loro si trovavano in mezzo ai poveri, ma nella loro testa c'era confusione, persi com'erano nella propaganda del governo e nella religione ufficiale dell'epoca (Mc 8,15). La religione ufficiale insegnava che il Messia sarebbe stato glorioso e vittorioso. Ed è per questo che Pietro reagisce con molta forza contro la croce (Mc 8,32). Un condannato alla morte di croce non poteva essere il messia, anzi, secondo la Legge di Dio, doveva essere considerato come un "maledetto da Dio" (Dt 21,22-23).

Dinanzi a ciò, l'esperienza della Trasfigurazione di Gesù poteva aiutare i discepoli a superare il trauma della Croce. Infatti, nella trasfigurazione, Gesù appare nella gloria, e parla con Mosè e con Elia della sua Passione e Morte (Lc 9,31).

Comincia a farsi strada la percezione che il cammino della gloria possa seguire un itinerario diverso da quelli pianificati e che possa passare quindi per la croce.

 

Trasfigurato non è che l’uomo Gesù, rifiutato e rinnegato da tutti, incamminato verso la croce, che si manifesta totalmente altro, accolto e confermato da Dio.

Nella sua umanità crocifissa si rivela la sua più vera natura, la gloria di Dio.

 

Il volto di Gesù trasfigurato e pieno di luce, che rivela la pienezza di tutta la storia della salvezza, nel suo parlare con Mosè ed Elia, è un preludio della sua realtà post-pasquale e definitiva;

la stessa che è promessa ad ogni uomo…

 

…eppure abbiamo tutti presente come questa immagine sia spesso sfigurata in tanti volti umani, ho presente il documento dei Vescovi latinoamericani a Puebla (Messico, 1979): "Questa situazione di estrema povertà generalizzata acquista nella vita reale dei lineamenti molto concreti, nei quali dovremmo riconoscere le sembianze del Cristo sofferente, del Signore che ci interroga e ci interpella"...e continua: volti di bambini malati, abbandonati, sfruttati; volti di giovani disorientati e sfruttati; volti di indigeni e di afroamericani emarginati; volti di campesinos abbandonati e sfruttati; volti di operai mal retribuiti, disoccupati, licenziati; volti di anziani emarginati dalla società familiare e civile (cfr Puebla 32-43).

E la lista continua con i tanti volti sfigurati che ognuno di noi incontra nel proprio ambiente.

 

Contemplare il volto di Cristo trasfigurato non può farci accampare nessun pretesto per un disimpegno qui su questa terra, il futuro non piove dall’alto, ma pretende di tradursi in storia. L’ascolto di Cristo trasforma la vita del discepolo: nel tentativo di vivere come Cristo ha vissuto, senza fughe o evasioni, qui su questa terra, con l’aiuto di ciascuno, si può realizzare la promessa finale della gloria di Dio.

 

Che difficile scorgere un’altra dimensione nel cuore di tutto ciò che ci circonda, nel cuore di questa realtà terrestre così opaca e resistente, così pervasa dal male, dall’assurdo dal negativo.

Facciamo fatica tutti a scoprire qualcosa che stia al di sopra o al di sotto della nostra esperienza quotidiana e che costituisca il centro di tutto ciò che facci mo o subiamo.

 

Spesso ci sentiamo incapaci di superare noi stessi, le nostre vicende e leggere i segni della presenza attiva di Dio nella storia, cogliendone il significato.

Marco ci offre con questo testo la percezione che solo l’ascolto del Figlio, svelato nel servo sofferente, compie il miracolo di schiudere in noi l’orizzonte vero in cui siamo immersi.

In tale ascolto la realtà ci appare più trasparente, un mondo di segni, di voci e di colori di cui si coglie non solo la presenza ma anche il significato.

“Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo”: solo così si percepisce nella realtà un senso profondo e portante.

 

Nell’ascolto di Gesù  la storia trova la propria consistenza e il valore definitivo: se la radice è costituita dal legno della croce, il frutto è costituito dalla vita piena

Una trasfigurazione progressiva che troverà il suo compimento nella liberazione integrale di ogni uomo, vinto ogni male, riconciliato con se stesso, con il fratello, con il creato e con Dio.

L’esperienza del Tabor ci indica che la trasformazione qui sarà solo manifestazione passeggera che rimanda all’ultima e definitiva.

 

Non è ancora il tempo della contemplazione definitiva, abbiamo la Parola che indica e che si rimette alla fatica di essere ancora ascoltata, compresa, vissuta, fatta carne nella nostra vita.

A noi che già vorremmo essere arrivati, già vorremmo finalmente la pace, la giustizia, è chiesto ancora di camminare, di ricominciare nella novità che ancora quella Parola offre e indica a ciascuno.

Sì, ci è concesso qualche momento di pausa, di serenità, di contemplazione, di gioia nel gustare e nel vivere momenti che aprono nuove prospettive, nuovi orizzonti, che ci fanno gustare le bellezze della vita: musica, arte, approfondimenti di ciò che stiamo vivendo e che ci aprono alla speranza, la compagnia e l’affetto delle persone che amiamo.

 

Far tesoro di tutto ciò diventa necessario: importante gustare, vivere il più possibile svegli anche se il sonno delle nostre paure ci minaccia fortemente. Necessario custodire la memoria di una luce anche se lontana però reale, il ricordo vivo di un amore accolto e donato.

Per poter trarre forza, per andare avanti, per trovare coraggio di scelte che daranno senso al nostro vivere.

Ma non è possibile bloccare questi momenti.

La luce del Tabor è per affrontare il cammino verso la grande oscurità del Calvario.

 

“Ascoltate” questa è l’unica traccia che ci è lasciata per rivivere l’efficacia della luce.

La luce della trasfigurazione ci viene consegnata nella Parola e nei Sacramenti, nell’amore delle persone, nella bellezza delle cose.

Il mondo è intriso di luce che fa accendere tutti i colori dell’umanità, lo sanno i bambini, lo sanno gli artisti, coloro che amano, i puri di cuore di ogni credo religioso.

 

Sulla croce Gesù non viene annientato né distrutto nella sua dignità.

Egli non resterà nella morte, ma risusciterà il terzo giorno.

Nel vangelo che prepara alla trasfigurazione si parla di rinnegare se stessi: prendere distanza dai propri interessi, preoccuparsi non di difendere esclusivamente le nostre percezioni e i nostri punti di vista, ma professare Dio che è totalmente diverso dalle nostre rappresentazioni che ci facciamo di lui.

 

La fede autentica in Gesù non è per servirsi ma per servire, solo così la nostra vita si trasfigura.

 

La croce su cui Gesù muore per il mondo intero è per Marco, un’immagine della tolleranza che la Chiesa deve diffondere davanti a tutti gli uomini.

Invece di riservare per sé il diritto di una rappresentanza esclusiva, essa deve confidare nel fatto che anche altri uomini –a contatto con il dolore e la sofferenza della vita- comprendono il mistero di Gesù e del suo Dio e ne rendono a modo loro testimonianza.

La croce vuole rompere la ristrettezza della meschinità ecclesiale e aprire il cuore all’amore di Dio che vale per tutti gli uomini.

 

Girare sempre attorno ai propri bisogni, alla propria vita, al proprio riconoscimento, alla propria grandezza e al proprio potere.

La croce è proprio il contrario: il dono della vita, l’affidarsi al Bene, l’abbandonarsi, il rimettersi alla volontà di Dio, volontà di Vita e di Bene per tutti e per ciascuno.

Solo in questo modo la vita trova la sua riuscita, si trasfigura.

E anche noi con un volto di luce alla fine del grande viaggio.

E con noi la storia.

 

Anche la storia avrà la sua luce splendente: che bello pensare ai nostri volti oggi sfigurati e alla trasfigurazione a cui siamo chiamati; quanta bellezza se la bellezza che constatiamo in questo mondo ogni giorno è solo una sfuggevole immagine di ciò che sarà alla fine!