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Vangelo secondo Giovanni In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Tu, Verbo della vita, come lampo nella tempesta della dimenticanza sei entrato nei limiti del dubbio a riparo dei confini della precarietà per nascondere la luce. Parole fatte di silenzio e di quotidianità le tue parole umane, sacramento della Parola che irrompe e trasforma sempre questa nostra umanità. Il
prologo di S. Giovanni ci accompagna sempre nella celebrazione della nascita di
Gesù, è il vangelo della messa del giorno. Straordinaria
sintesi del mistero dell'Incarnazione, il vangelo oggi, ci aiuta, per fortuna, a
non disperderci in emotività e ci fa ritornare al significato teologico ed
esistenziale del Natale. Il
Figlio di Dio che si fa uomo è chiamato Verbo, la parola che rivela
ricchezza interiore, ciò che uno ha dentro di sè.
Il
Verbo che si fa carne, che si rende
presente e visibile, diviene la più genuina manifestazione di Dio. "Dio
nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato". Se
cerchi sinceramente Dio, non hai da speculare o inventare niente: è lì, in
quel volto di uomo ebreo che è Gesù di Nazaret. Guardando
quel volto di uomo scopriremo anche i tratti divini che sono dentro, in ognuno
di noi. Se
cerchiamo il vero volto dell'uomo (chi è, che cosa può fare a che cosa può
aspirare l’uomo) il vangelo ci ricorda che questo volto non si trova che in
Lui, Uomo/Dio, cioè uomo pienamente riuscito, e quindi verità piena dell'uomo.
"In
realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero
dell'uomo" (GS 22). Ecco
la grandezza del Natale: l’incarnazione porta a tutti noi la luce della verità. E
come spada a due tagli ci svela la realtà non senza sofferenza. Il
dramma dell’uomo che cerca il senso della propria vita lontano da sé, lontano
dalla sua propria umanità, lontano dai suoi fratelli. Il
dramma di Dio che desiderando la vita piena, la felicità, dell’uomo assume in
sé la precaria fragilità umana; per amore incontro all’uomo e dall’umanità
rifiutato Non
c’è da sbagliarsi al riguardo, Natale ci parla di Dio che non viene accolto
che da poche e contate persone, “il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure
il mondo non lo riconobbe”, Giovanni usa queste parole per esprimere ciò
che Luca indica nel suo vangelo: “…lo fasciò e lo depose in una
mangiatoia poiché non c’era posto per loro nel luogo del riposo”. L’unico
posto che l’umanità sa riservare al Dio della vita è un posto riservato alle
bestie, è un testo che non va dimenticato troppo facilmente. E’
vero, l’umanità sa riservare ben altro attraverso Maria e Giuseppe, ma è
fuori discussione che la parte sociale e istituzionale della nostra umanità non
ha posto per un uomo che nasce, a parole …forse, ma nei fatti i vangeli
registrano questa realtà. Quanta
umanità ancora sia trattata come bestiame, Dio solo lo sa. Quanti
uomini, donne e bambini siano ancora utilizzati come merce/oggetto, la nostra
coscienza preferisce non sapere. Eppure
il Natale si avvicina a noi, con i colori delle luci e il suono delle nenie, con
i toni soavi dell’emotività e del sentimento e senza spaventarci ci ripropone
ancora, per chi sa ascoltare, il dramma dell’uomo che infierisce contro il suo
fratello, il dramma dell’ingiustizia perpetrata ai danni dei più deboli e
indifesi, il dramma dell’uomo che assomiglia sempre più agli animali ogni
qualvolta priva di dignità la vita di un suo simile. “E
il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Carne:
intesa come natura umana nella sua
debolezza e nella sua fragilità La
vita di Gesù diventa storia del Verbo, eterno, e allo stesso tempo
coinvolto in un ambito di tempo limitato; Verbo che si identifica con la
storia dei continui rapporti con l’uomo e i suoi simili, con l’uomo
e il mondo, con noi e la nostra storia. E
noi impegnati oggi a ridirci (perché in fondo ci crediamo poco) che il Verbo
incarnato non è un mito, ma una persona storica, che si è inserita
profondamente nella razza umana, ma non solo: oggi siamo chiamati a considerare
che un neonato, un bambino è il vertice della storia della salvezza. Cristologia
elevatissima quella del “prologo” di S. Giovanni, ma allo stesso tempo
profondamente radicata nella storia. Il
luogo perfetto della presenza di Dio è l’umanità di Cristo, la carne di
Cristo è la nuova tenda della nuova alleanza. Gesù
rivelazione definitiva di Dio, tenda fra di noi: Dio ha scelto di dimorare di
nella nostra storia, nella nostra e altrui umanità. Per
questo possiamo dire con l’evangelista: “e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità”, possiamo
contemplare la sua gloria contemplando-ci. Non
semplice vedere (con gli occhi) ma
contemplazione (della speranza, nella
fede), che scruta il mistero: solo in
Gesù (bambino, in tutta la sua debolezza e precarietà, rifiutato) noi troviamo
la rivelazione del Padre; un monito a tutti gli uomini e a tutte le
chiese, messaggi diversi o discordanti non trasmettono né vita né salvezza. Dio
a Natale, che si manifesta in Gesù, piccolo d’uomo, riempie di speranza la
nostra vita: il mondo e la carne non sono cattivi, è tempo di smetterla con le
bestemmie sulla nostra umanità incapace e malevola! La constatazione del male e
delle tenebre, dentro e fuori di noi non giustifica il catastrofismo … Non
prevarrà la tenebra perché Non
prevarrà il male perché Natale
è la speranza dello sguardo che, non eludendo l’ingiustizia e l’odio
presenti, sa vedere al di là, oltre l’odio, la presenza della vita che
ostinata risuona in ogni realtà. Gli
auguri ce li ripetiamo ancora perché
i nostri occhi possano vedere la luce e il bene presenti, la
nostra bocca possa benedire e ringraziare con gratuità e le nostre mani
lavorino per costruire; perché i nostri piedi si muovano per accorciare le
distanze e il nostro cuore si accenda ancora per comunicare la passione
d’amare …quanto più si cresce in umanità tanto più ci si avvicina a Dio. |