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Vangelo secondo Luca Nel sesto mese. Un tempo definito per chi ha letto la pagina precedente, l'incontro
dell'angelo Gabriele con Zaccaria nel tempio. Ma per Maria, ignara, questo sesto
mese è il suo "oggi". Come per lei anche in noi c'è un momento che è unico, il luogo
dell'invito a entrare in un progetto pensato per noi. Ma quest'oggi non è isolato, è legato ai tempi di altri, ognuno unico
e irripetibile, fino a che Sembra molto lineare il percorso della grazia in questo testo. C'è un soggetto ed è Dio. Un termine di riferimento: una vergine. Un tramite: l'angelo Gabriele. Un tempo: il sesto mese. Un luogo: una città della Galilea. Tutto ha un nome: la città si chiama Nazaret. La vergine: Maria. L'uomo
cui è promessa: Giuseppe. Tutto ha una collocazione storica ben precisa. Il
sesto mese è quello della gravidanza di Elisabetta. La vergine è promessa
sposa. Giuseppe è della casa di Davide. Il testo sembra ricordarci che Dio non si introduce mai a caso, entra in
parametri già esistenti, che sono quelli umani, tracciati da persone che hanno
un nome, un volto, una storia. Così è anche per noi, ci suggerisce il vangelo,
anche se la nostra esperienza ci parla dei nostri fallimenti e dei nostri
peccati; abbiamo come la sensazione che la grazia in noi perlomeno dovrà fare
un percorso un po’ più contorto… “A queste parole ella rimase turbata”. Un attimo di smarrimento, ed è un attimo che, nella nostra vita, può
durare anni. E se pure abbiamo detto "sì" una volta, non siamo mai al
riparo dallo smarrimento … neppure dal fallimento Non temere, Maria. Ed è rivolto pure a noi indegni depositari
dell’amore e della compassione di Dio. Dio entra anche nella nostra vita, che è fatta anche di turbamenti, di
emozioni confuse, e che si ferma a contemplare altre luci. Entra nella nostra vita, anche se è inadeguata. O forse proprio per
questo. Non temere la tua debolezza, ci dicono gli angeli che ci passano accanto, gli
uomini non finiscono mai di essere pronti. Ma Dio salva. Dio pone vita laddove noi restiamo senza parole e turbati. Ma quell’angelo Maria l’ha visto davvero? La parola del vangelo: entrando da lei, può celare due
significati. Uno: entrando nella sua casa. L'altro: entrando in lei. Allora Maria l'angelo lo ha visto oppure no? Lo ha visto e lo ha
ascoltato. E questo è vero, perché poi tutto si avvera. Lo ha visto con quali
occhi? Quelli del corpo o quelli del suo amore? Il mistero dell'incontro tra
l'uomo e Dio non si può spiegare. Avviene e basta. È un incontro che lascia il
segno, e qui sta la grandezza dell'evento.
Mentre Zaccaria domandava all'angelo un segno, Maria domanda il senso.
Porre domande è stare davanti al Signore con tutta la dignità di cui siamo
capaci: accetto il mistero, accetto che la vita sia più grande e complicata di
quel che percepisco, ma uso anche tutta la mia intelligenza. E allo stesso tempo avverto il pericolo di far dire a Dio ciò che Dio
non dice, e allora occorre proprio darsi del tempo e interrogare e cercare il
senso. Vita dura quella di chi si pone domande, vita che lascia lunghi tempi
all’attesa, spesso dolorosi e pieni di lacrime, vita che si scontra con il
dubbio e l’immediata mancanza di senso. Che strana presenza quella dell’Altissimo che ricopre “con la sua
ombra”. Anche noi come Maria avremo solo la certezza di “un’ombra”, che
non afferreremo mai, ma che non ci lascierà un solo istante. Che pazzia quella di comprendere che Nel buio di un grembo, sta la luce della vita. Per entrare e dimorare
nella vita Dio si veste sempre di povertà, degli umili panni del servo (cfr Fil
2,6-7). Non si impone, va cercato. “Eccomi
sono la serva del Signore”
E ripetendo questo testo comprendiamo che Dio può essere accolto e
generato solo da chi sa vivere in se stesso l'impegno di essere servo, come lui.
La vicinanza di Dio si esprime nel servizio. In tutta Oggi ancora l'angelo ripete per noi le tre parole essenziali: non temere, verrà il Signore ti riempirà la vita. E la speranza è una donna, vergine perché capace di guardare con gli
occhi dell’amore, gravida di un mondo altro. Solo le donne, le madri conoscono l'attesa, essa è
iscritta fisicamente nel loro corpo. Si attende non per una mancanza, per
scontare una colpa, ma per una pienezza, non per una assenza da colmare, ma per
una sovrabbondanza di vita che già urge. (Ronchi) |