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Vangelo secondo Marco 2,18-22 In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: “Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?”. Gesù disse loro: “Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi”. Con la chiamata di Levi (2,14), testo che precede il brano di questa domenica abbiamo una svolta: ancora un discepolo chiamato e ancora una guarigione, ma stavolta differente: attraverso il pubblicano Levi, peccatore, Gesù si apre la strada verso un nuovo tipo di malati da curare, i "pubblicani e i peccatori", e siede a mensa con loro. Il
legame con la precedente attività di guarigione e di liberazione scelta da Gesù
è assicurato dalle sue stesse parole: "Non sono i sani che hanno bisogno
del medico, ma i malati..." (2,17). Ora
la malattia è un'altra, più profonda: il peccato, l'ingiustizia, la rottura
della fraternità. Gesù è venuto a sanare tutto questo. Ed
è proprio qui il primo segno di rottura con il sistema gerarchico giudaico,
incarnato da quegli scribi appartenenti alla scuola dei farisei, scuola in realtà
aperta e dinamica, ma, come esprime l'etimologia del loro nome, portati ad
essere "separati" nei confronti del resto del popolo. Ecco
come si colloca il nostro testo: una discussione con i farisei che prendendo
spunto da una pratica religiosa, il digiuno, trascende la polemica e diventa
rivelazione, un nuovo modo di intendere Dio stesso. “Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?” La
norma del digiuno, come tante altre norme e leggi, pretesto per dividere i buoni
dai cattivi, per distinguere i più bravi. Quante norme e leggi ci siamo fatti,
scritte o tacitamente accettate, per difenderci e per separarci, per
allontanare. Norme e leggi per condannare ed emarginare, per poter stare dalla
parte giusta. E
il vangelo annota che nessuna norma è voluta da Dio. Non hanno nessun valore le
norme e le leggi se non nella prospettiva dell’ “integrazione” e della
re-integrazione. “Possono
forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?” Gesù
non è l’asceta che rinuncia ad ogni gioia: si fa invitare a cena e non si
preoccupa che siano peccatori ed emarginati dai benpensanti della società
politico/religiosa del tempo. In
questo passaggio Gesù rinuncia a chiamare i peccatori alla conversione. Egli
pranza con loro, dona loro l’amore di Dio. L’amore
di Dio, una volta sperimentato, li trasforma. Gesù
comprende se stesso come lo sposo che annuncia agli uomini la vicinanza di Dio e
li invita a celebrare insieme a lui l’amore di Dio. Un invito alle nozze con
lo sposo, non come invitati ma come celebranti: è la nostra umanità che Gesù
viene a sposare. Perché Dio vuol diventare una cosa sola con l’uomo, con ogni
uomo, perché ogni uomo diventi una cosa sola con se stesso. Nell’immagine
delle nozze Gesù mostra il suo modo di intendere la spiritualità: non una via
di rinunce ma una via di integrazione. Ad una festa di nozze non si va per
giudicare, condannare, discriminare, allontanare, ma per incontrare, per
intrattenere relazioni, per riabbracciare, per rinnovarsi nella fraternità…
per gioire e rinfrancarsi nella fraternità. Una
spiritualità quella proposta da Gesù che tenta di unire cielo e terra, come
pure tutti gli elementi opposti presenti nell’umanità fuori e dentro di noi. L’immagine
che Gesù ci offre, dell’uomo e di Dio, è caratterizzata da gioia e fiducia,
nella festa si esprime il desiderio di pienezza che Dio ha per l’uomo. Arriveranno i giorni senza amore, giorni in cui lo sposo è tolto, in cui l'amore è esiliato, giorni in cui gridare che la vita è in pericolo, che la terra è minacciata. Ci
sarà il tempo per digiunare, per tutti la vita ha passaggi di via crucis, a
tutti la vita chiede il coraggio di contrastare con forza tutto ciò che sbarra
la strada alla realizzazione della nostra più profonda identità. E
la pratica cristiana del digiuno si orienta verso questa direzione di
essenzialità, per poter far chiarezza dentro la propria casa, per far entrare
la luce e l’aria buona che possano rendere degna e vivibile la propria vita. “
nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri
e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi” Con
Gesù si è giunti ad una svolta radicale nel modo di sentire e vivere il
rapporto con Dio. Quando
pensiamo alla nostra fede o al senso da dare alla nostra vita c’è spesso la
tentazione di pensare che basti
aggiungere o togliere qualcosa nei nostri abituali modi di fare. In
realtà non si tratta solo di fare qualche aggiustamento, mettendo una pezza qua
e là: si tratta di indossare un abito completamente nuovo, di svuotare la
cantina, gettare via i contenitori vecchi, e rifornirsi del vino nuovo. E'
anche il rischio nostro. Quello
di ricadere nel fariseismo, di far consistere la nostra fede nell'esecuzione di
una serie di atti di pietà, o nella pratica di una vita onesta, o nel compiere
una serie di gesti di carità. Il sentirci apposto, per alcune “azioni
buone” compiute o per non fare, in fondo, “niente di male” a nessuno. La
nostra fede è prima di tutto accogliere Gesù, la sua Parola e da questa
relazione possono nascere nuovi gesti di pietà, di onestà, una vita di
giustizia capace di rinnovare persone e situazioni. E’
pure la nostra esperienza: quando si smarrisce la pista di questa vera vita
spirituale, diventa impossibile fare il bene, per quanti sforzi si faccia; perché
allontanandosi dalla spiritualità di “integrazione” portata da Gesù ci si
allontana dalla nostra più autentica umanità. “verranno
i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno” Sono
i nostri giorni: la terra veste abiti di guerra, di ipocrisia che legittima una
ricchezza ed un potere a scapito di altri esseri umani, abiti di indifferenza
per nascondere l’attaccamento ammalato alle proprie cose; ormai un vestito
troppo vecchio e logoro, che si sogna forte, ma che in realtà, portando con sé
la morte, chiude le porte alla speranza perchè è senza futuro. Dai
suoi strappi traspare solo il buio. Ma
un altro vestito è possibile, un altro cuore, un'altra umanità. Ma
anche che un altro mondo. La
novità del messaggio di Gesù ha bisogno anche di forme nuove. Gesù ha il
coraggio della novità e ci invita a confidare in Dio che è sempre nuovo che
rende nuova ogni cosa. Oggi
Marco ci ricorda che una vita nuova è possibile se prendo il Vangelo come mio
abito, se indosso le beatitudini come mio stile di vita. Una
nuova “integrazione” tra umano e divino sarà possibile se comporrò con la
mia vita parabole di speranza: con il mio cuore illuminato dalla Parola, con le
mie mani rafforzate dal Suo amore, con le mie parole suggerite dalla Sua
compassione. Pensando
alla dura critica di Marco per le norme e le leggi che “allontanano e
separano” contrarie all’unica legge di Dio che “integra”, non mi resta
che arrossire riguardo alla mia ignoranza e alla mia indifferenza di fronte
all’ordinamento legale di questo mio paese. E non posso restare ancora
indifferente rispetto al mondo carcerario, luogo paradigmatico di una società
che desidera difendersi e allontanare/emarginare piuttosto che educarsi a
re-integrare, una società che anche in questo dimostra scarse possibilità di
futuro.
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