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+  Dal Vangelo secondo Marco                  (Mc 14,12-16.22-26)

 

Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua , i discepoli dissero a Gesù: “Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua ?”. Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi”.

I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua. Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo del regno di Dio”. E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

Oggi, festa del Corpus Christi, la Chiesa ci pone dinanzi l'Ultima Cena, l'ultimo incontro di Gesù con i suoi discepoli. E’ un incontro teso, pieno di contraddizioni. Giuda ha già deciso di tradire Gesù (Mc 14,10).

Pietro lo ha negato già (Mc 14,30). Gesù lo sa. Ma non perde la calma né il senso dell'amicizia. Al contrario, proprio durante quest'Ultima Cena istituisce l'Eucaristia e realizza il supremo gesto del suo amore per loro (Gv 13,1).

I quattro versi che descrivono l'eucaristia (Mc 14,22-25) fanno parte di un contesto assai più ampio (Mc 14,1-31). I diversi eventi, narrati prima e dopo l'eucaristia, aiutano molto a capire meglio il significato del gesto di Gesù.

Prima del gesto dell'eucaristia, Marco narra la decisione delle autorità di uccidere Gesù, il gesto di fedeltà della donna anonima che unge Gesù in vista della sua sepoltura (Mc 14,3-9), il patto del tradimento di Giuda (Mc 14,10-11), la preparazione della pasqua e l'indicazione del traditore (Mc 14,17-21). Dopo quel gesto, segue l'avviso di fuga da parte di tutti (Mc 14,26-28) e l'annuncio della negazione di Pietro (Mc 14,29-31).

In mezzo a questo ambiente teso e minacciante, avviene il gesto d'amore di Gesù che si dona totalmente spezzando il pane per i suoi discepoli.

Negli anni '70, all'epoca in cui scrive Marco, molti cristiani per paura, avevano rifiutato, negato o tradito la loro fede. Ed ora loro si chiedevano: "Noi abbiamo rotto il rapporto con Gesù. Non sarà che anche lui ruppe il rapporto con noi? Forse possiamo ritornare?" Non c'era una risposta chiara. Gesù non ha lasciato scritto nulla. E fu riflettendo sui fatti e ricordando l'amore di Gesù che i cristiani scoprirono la risposta. Marco, nel modo di descrivere l'Ultima Cena, comunica la risposta che scopre a queste domande delle comunità. E cioè, l'accoglienza e l'amore di Gesù superano la sconfitta ed il fallimento dei discepoli. Il ritorno è possibile sempre.

 

 


L'ultimo incontro di Gesù con i discepoli si svolge nell'ambiente solenne della tradizionale celebrazione di Pasqua. Il contrasto è molto grande. Da un lato, i discepoli, che si sentono insicuri, e non capiscono nulla di quanto succede. Dall'altro lato, Gesù, calmo e padrone della situazione, che presiede la cena e compie il gesto di spezzare il pane, invitando gli amici a prendere il suo corpo ed il suo sangue. Lui fa ciò per cui sempre pregò: dare la sua vita affinché i suoi amici potessero vivere.

La fede nella vita annulla il potere della morte.

Loro rompono il rapporto con Gesù, ma non Gesù con loro! Lui continua ad aspettarli in Galilea, nello stesso luogo dove, tre anni prima, li aveva chiamati per la prima volta. Ossia, la certezza della presenza di Gesù nella vita del discepolo è più forte dell'abbandono e della fuga! Gesù continua a chiamare. Chiama sempre! Il ritorno è sempre possibile!

E' questo l'annuncio di Marco ai cristiani degli anni '70 e per tutti noi.

 

Non sempre i cristiani sono riusciti ad avere chiara la portata e il significato dell’Eucaristia, neppure all’inizio!

Negli anni '50, Paolo critica la comunità di Corinto che, nel celebrare la cena del Signore viveva in modo completamente sballato l’invito di Gesù, poiché alcuni prendono prima il loro pasto, e così uno ha fame, l'altro è ubriaco (1 Cor 11,20-22).

Celebrare l'eucaristia come memoriale di Gesù vuol dire conoscere e assumere il progetto di Gesù, fino ad assimilarlo.

Significa “trasformare” la nostra vita, così come si trasforma il pane in corpo e il vino in sangue; trasformarla avendo presente la Sua vita condivisa, criterio quindi non potrà essere esclusivamente il nostro interesse immediato: il servizio ai “fratelli” sarà un aspetto che nessuno di noi potrà minimizzare o relativizzare.

 

Al termine del primo secolo, il vangelo di Giovanni, invece di descrivere il rito dell'Eucaristia, descrive come Gesù si inginocchiava per compiere il servizio più comune di quel tempo: lavare i piedi. Al termine del servizio, Gesù non disse: "Fate questo in memoria di me" (come nell'istituzione dell'Eucaristia in Lc 22,19; 1Cor 11,24), ma disse: "Fate ciò che io ho fatto" (Gv 13,15).

Invece di ordinare di ripetere il rito, il vangelo di Giovanni chiede atteggiamenti di vita che mantengano viva la memoria del dono senza limiti che Gesù fa di se.

I cristiani della comunità di Giovanni sentivano il bisogno di insistere più nel significato dell'Eucaristia come servizio, che del rito in sè.

 

Da molti anni faccio la comunione, camminando distratto verso l'altare, arrivando a volte di corsa per la presidenza della celebrazione, distratto nella vita.

Eppure Cristo non si nega.

Sono inaffidabile, mi circondo di opere vuote, e Dio non si nega.

Che cosa mi può dare questo po’ di pane?

“Questo è il mio corpo offerto per voi …per te”

E se fosse Dio che mi cerca?

E se fosse Lui in cammino verso di me? Dio che arriva, che ascolta i dubbi del cuore, che entra, che decide di stare in casa con me?.

Voglio credere che il mio andare verso l’altare sia solo un piccolo segno della sua eterna processione verso l'uomo, verso di me.

La Vita cerca casa.

 

Credo che la comunione, più che un mio bisogno, è un bisogno di Dio.

Sono solo un uomo con la sua storia accidentata, che ha bisogno di cure, e di coraggio per non dissolversi di fronte al dolore profondo che spesso si spalanca dentro come un abisso.

E quello che mi appare incredibile è che Dio si accontenta di questo groviglio di paure, di questo nodo di desideri che io sono.

Gli vado bene, (…e questo quasi mi irrita; fino a che non avviene l’atto di fede: Lui è Dio, quel che va bene a Lui non può che esser bene anche per me!)

 

Mangiare e bere il corpo e il sangue del Signore significa fare propria l'intera vicenda di Cristo. Quando Gesù ci dà il suo sangue vuole che nelle nostre vene scorra la sua vita, vuole che nel nostro cuore metta radici il suo coraggio e quel miracolo che è la gratuità nelle relazioni.

Quando Gesù ci dà il suo corpo vuole che la nostra fede si appoggi non a delle idee, ma ad una persona, all'incontro con il peso e lo spessore e il duro della croce.

Quando ci dà il suo sangue e il suo corpo vuole anche farci attenti al sangue e al corpo dei fratelli.

Infatti il corpo è offerto, il sangue è versato: la legge dell'esistenza è il dono di sé; unica strada per l'amicizia nel mondo è l'offerta; norma di vita è dedicare la vita.

Ed è Lui, in questa sua illogica modalità di vivere, nonostante la mancanza di meriti, che continua ad aver bisogno di noi.

 

…non funziona sempre così il nostro mondo.

Ma così va' il mondo di Dio!