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+ Dal Vangelo secondo Marco    12,28b-34

 

In quel tempo, si accostò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”. Gesù rispose: “Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi”. Allora lo scriba gli disse: “Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v’è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore e con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: “Non sei lontano dal regno di Dio”. E nessuno aveva più coraggio di interrogarlo.

  • Al dottore della legge, che aveva assistito al dibattito fatto in precedenza con i farisei, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, piace la risposta di Gesù, e percepisce in lui una grande intelligenza e quindi approfitta dell'occasione per porre una domanda di chiarimento (Mc. 12,28a). In quel tempo, i giudei avevano una grande quantità di norme per regolamentare nella pratica l'osservanza dei Dieci Comandamenti della Legge di Dio. Il problema era discernere ciò che maggiormente contava. “Qual è il primo di tutti i comandamenti?" … un tema molto discusso e molto polemico all'epoca.
  • Negli anni 70, epoca in cui Marco scrive il suo vangelo, le mutazioni e persecuzioni erano molte e, per questo, la vita delle comunità cristiane era segnata dall'insicurezza. Nei tempi di mutazione e di insicurezza c'è sempre il rischio o la tentazione di cercare la nostra sicurezza, non nella bontà di Dio con noi, bensì nell'osservanza rigorosa della Legge. Di fronte a questa mentalità, Marco sottolinea come Gesù insista nella pratica dell'amore, che relativizza l'osservanza della legge dandole il suo vero significato.                                                                             (per ulteriori note vedi aggiunta finale)

 

Gesù, alla richiesta dello scriba, risponde citando un brano della Bibbia per dire che il primo comandamento è "amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la forza!" (Dt 6,4-5).  Questa frase faceva parte di una preghiera chiamata Shemà.

Al tempo di Gesù, i giudei pii recitavano questa preghiera due volte al giorno: al mattino ed alla sera. Era così conosciuta tra loro come lo è oggi tra noi il Padre Nostro.

Un testo che mette in evidenza il rapporto esistente tra amore e legge.

La legge è esterna a me, l'amore parte da dentro di me, parte dal mio cuore.

 

Gesù non si ferma allo Shemà, aumenta citando di nuovo la Bibbia : "Il secondo è questo: 'Amerai il prossimo tuo come te stesso' (Lev 19,18). Non esiste un comandamento più grande di questi ". Risposta breve e di una profondità misteriosa, capace di novità ogni volta che ci soffermiamo su di essa. Non può essere che così: è il riassunto di tutto ciò che Gesù ha insegnato su Dio e sulla vita (Mt 7,12).

 

"amare Dio ed amare il prossimo come se stesso val più che tutti gli olocausti e tutti i sacrifici".

 

Ossia il comandamento dell'amore è più importante di tutti i comandamenti relativi al culto od ai sacrifici nel Tempio. Questa affermazione viene dai profeti del Vecchio Testamento (Os 6,6; Sl 40,6-8; Sl 51,16-17). Oggi diremmo: la pratica dell'amore è più importante delle novene, delle promesse, delle messe, delle preghiere e processioni.

O meglio, le novene, le promesse, le messe, le preghiere e le processioni devono essere il frutto della pratica dell'amore e devono condurre all'amore e alla misericordia.

 

E se è il comandamento più importante lo rileggiamo ancora:

 

“Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore;

§        amerai dunque il Signore Dio tuo

 con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.

§         Amerai il prossimo tuo

§        come (amerai) te stesso.

Non c’è altro comandamento più importante di questi”

 

La nostra vita è racchiusa in un unico comandamento: “amerai”.

Non un imperativo, ma un verbo al futuro, un’azione che inizia ma che non si conclude se non con la vita stessa. Un amare che si vive nella concreta relazione con Dio e il prossimo, un unico comandamento con tre soggetti: Dio, il prossimo e me stesso.

 

Ho letto, in un commento relativo a questo brano, un testo di S. Agostino: “Non contrapporre Dio e il prossimo, non sottrarti mai ad un amore in nome di un altro amore”.

 

Ci ho pensato e continuo a ripensare, non mi lascia quieto questa frase.

Amare Dio con tutto il cuore con tutta la mente e con tutta la forza, amare Dio completamente e con tutto te stesso …e resta ancora amore per amare il marito, la moglie, i figli, l’amico, il vicino, il povero, il sofferente, il prossimo, colui che ha tradito le tue aspettative, la tua fiducia  …il nemico.

Difficile da credere, …ma se fosse vero?

 

Allora amare Dio senza amare veramente qualcuno sulla terra, qualcuno con nome e cognome, qualcuno con un viso ed un corpo concreto, è solo una illusione.

 

…e di quanta illusione si nutre la mia vita?

Amore superficiale, amore per convenienza, amore di un momento, amore per un momento, amore per professione, amore per dovere, amore per non saper dir di no...

 

“come (amerai) te stesso.”

L’origine di tanta illusione (e confusione) forse sta proprio qui, nell’ “io”, soggetto sempre trascurato: se non mi amo non sarò capace di amare, ma banalizzare, approfittare, prendere, “sopravvivere”, possedere, oppure fuggire, abbandonare …nel tentativo di riempire un vuoto incolmabile, senza poter mai sperimentare quella pace e quella gioia che solo la gratuità del sentirsi amati e dell’amare può far scoprire alla propria vita.

 

E viene da sé che un amore per Dio che coinvolga la totalità della nostra vita non riguarda solo la dimensione sentimentale affettiva, ma anche la volontà, l’intelletto, la corporeità e tutte le nostre “forze”.

Per il contesto ebraico il termine “forza” indica pure i beni materiali posseduti (Dt. 6,5): anch’essi a disposizione dell’uomo per amare Dio.

L’amore non può essere delimitato al campo dei sentimenti o al massimo della spiritualità ma deve coinvolgere pure la dimensione concreta e materiale, anche in riferimento a Dio; se la fede non tocca il portafoglio difficile dire che sia autentica.

 

Questo testo del vangelo insinua nel nostro cuore una verità che poco a poco vuole dare forma al nostro modo di pensare: Dio al primo posto è la garanzia di un amore autentico verso se stessi e verso gli altri. Ma il discernimento non è così scontato.

E’ un cammino ancora da imparare bene, che esige maggior verità in noi.

È una proposta d’amore da riscoprire sempre di nuovo, senza antagonismi né fondamentalismi, un riscoprirci amati per avere la forza di amare davvero…

Sarà poi la vita concreta, saranno le concrete relazioni d’amore a rimandarci la verità di quanto il vangelo da sempre ci propone... sempre se vorremo rischiare di amare sul serio, noi stessi, Dio e il nostro prossimo.

 

 

 

note per approfondire

 

La domanda del dottore della legge a Gesù

 

era classica fra i rabbini: le prescrizioni della Torah (la legge) arrivarono fino a 613, 365 erano le proibizioni (una per ogni giorno) e 248 i comandamenti positivi. …per Davide la legge si riassumeva a 11 prescrizioni principali (Sal 15,2-5); per Isaia 6 (Is 33,15); per Michea a 3 (Mi 6,8): per Amos a due (am 5,4) e per Abacuc ad una sola (Il giusto vivrà per la sua fedeltà, Ab 2,4)

Chi era considerato prossimo

 

1ª Tappa: "Prossimo" è il parente della stessa razza

Il Vecchio Testamento insegnava già l'obbligo di "amare il prossimo come se stessi!" (Lv 19,18). In quel lontano inizio la parola prossimo era sinonimo a parente. Loro si sentivano obbligati ad amare tutti coloro che formavano parte della stessa famiglia, dello stesso clan, della stessa tribù, dello stesso popolo. Per quanto riguardava lo straniero, cioè coloro che non appartenevano al popolo giudeo, il libro del Deuteronomio diceva: "potrai esigerlo il diritto dallo straniero; ma quanto al tuo diritto nei confronti di tuo fratello (parente, prossimo), lo lascerai cadere!" (Dt 15,3).

2ª Tappa: "Prossimo è colui a cui mi avvicino, o che si avvicina a me

A poco a poco, il concetto di prossimo si allargò. E così, nel tempo di Gesù, ci fu tutta una discussione attorno a "chi è il mio prossimo?" Alcuni dottori pensavano che si doveva allargare il concetto di prossimo oltre i limiti della razza. Ma altri non volevano saperne di questo. Fu così che un dottore rivolse a Gesù questa domanda polemica: "Chi è il mio prossimo?" Gesù rispose con la parabola del Buon Samaritano (Lc 10,29-37), in cui il prossimo non è né il parente, né l'amico, né il patrizio, ma colui che si avvicina a te, indipendentemente dalla religione, dal colore, dalla razza, dal sesso o dalla lingua. Tu devi amarlo!

3ª Tappa: La misura dell'amore al "prossimo" è amare come Gesù ci ha amato

Gesù aveva detto al dottore della Legge: "Tu non sei lontano dal regno di Dio!" (Mc 12,34). Il dottore era già vicino al Regno, perché di fatto il Regno consiste in unire l'amore verso Dio con l'amore verso il prossimo, come il dottore aveva affermato solennemente davanti a Gesù (Mc 12,33). Ma per poter entrare nel Regno gli mancava fare un passo in più. Il criterio dell'amore verso il prossimo, insegnato nel Vecchio Testamento, era "come te stesso". Gesù espande questo criterio e dice: "Questo è il mio comandamento: amatevi come io vi ho amato. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici!" (Gv 15,12-13). Ora, nel Nuovo Testamento, il criterio sarà: "Amare il prossimo come Gesù ci ha amato!". Gesù ha interpretato il senso esatto della Parola di Dio ed ha indicato il cammino sicuro per giungere ad una convivenza più giusta e più fraterna.