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Vangelo secondo Matteo 22,1-14
Una
delle immagini più affascinanti del Regno di Dio: una grande festa di nozze cui
ogni uomo è invitato. Un
Dio felice. Tanto
felice che vuole condividere con altri la sua felicità. “Il
Signore degli eserciti preparerà sul suo monte un banchetto di grasse vivande,
un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Eliminerà
allora la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto.
E si dirà in quel giorno: Ecco il nostro Dio, in lui abbiamo sperato perché ci
salvasse; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza"
(Prima lettura).
Dio
invita: non alla fatica della vigna, ma a nozze, ad un'esperienza di pienezza,
al piacere di vivere. Il
suo dono e il suo segreto sono una vita bella: finalmente pace e serenità; e
Dio non è più un dovere, ma un desiderio. Ma
il vangelo non è una fiaba, all’invito divino corrisponde il dramma dell’
uma- nità: “Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo,
chi ai propri affari….” Un’umanità
che spesso vive per le cose, un’umanità che non ha tempo neppure per la
gioia. Il
rischio di vivere all'esterno di se stessi, così esterni da perdere la propria
stessa terra, la propria stessa vita: la distruzione di Gerusalemme "data
alle fiamme" nell'anno '70 ne è una tragica immagine. L'invito
di Dio è per tutti gli uomini, gratuito e generoso: "Usciti nelle strade,
quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì
di commensali". Nessuno
può dire: io non sono stato invitato, io non ho avuto il dono della fede. L'occasione
è data a tutti. Dice
una tesi teologica che Dio offre ad ogni uomo una grazia sufficiente ed efficace
per la salvezza. Solo
che non sfonda la porta della nostra libertà. Stimola, ma è discreto e
rispettoso. Sta
sempre a noi la responsabilità piena di un sì o di un no che determina il
nostro destino. Quando
si tratta d'amore, Dio diventa esigentissimo. Perché
nulla è più importante per l’uomo che l’amore. Ma
ci sorprende il contrasto tra la larghezza nell'invito, e la rigidità della
selezione. "Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che
non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui
senz'abito nuziale?". Mi
soffermo un po’ su questa veste, mi inquieta. Cerco
e trovo: Chi
non ha la veste della misericordia anche se è dentro la sala in realtà è già
fuori, non è nella luce ma nelle tenebre esteriori. Nell’antico
oriente quando il re invitava alla corte abitualmente donava anche la veste del
convito all’invitato. L’invitato dimostra di aver rifiutato l’ulteriore
dono amichevole del re e quasi impone la sua presenza. In questa prospettiva
comprendiamo come l'unico modo per prepararsi al banchetto della vita sia
accettare il dono del re, il suo perdono e quindi porsi nella prospettiva della
conversione. Cambiare
vestito nel linguaggio biblico indica cambiare stile di vita ovvero convertirsi. L'abito
nuziale sono
certamente le opere di giustizia di bontà e di pace che esprimono la sincerità
della nostra risposta alla vita e a Dio: quando l'umanità giungerà alle soglie
dell'eternità, sarà come "una sposa pronta - dice l'Apocalisse - per le
nozze dell'Agnello; e le hanno dato una veste di lino puro splendente. La veste
di lino sono le opere giuste dei santi" (Ap 19,8). Dio
ci rispetta troppo, non vuol fare di noi degli assistiti: la salvezza non è
automatica, richiede accoglienza, collaborazione e responsabilità. E,
ancora, questa parabola insinua che l'eternità non è altrove, in un altro
orologio, ma che questo tempo è già un frammento di eterno colmo di inviti, già
ora con Dio la vita celebra la sua festa se appena abbiamo un cuore che accoglie
e che sa condividere. L'invito
alla convivialità è anche invito a passare dall'economia delle cose
all'economia delle persone, a prenderci del tempo per l'incontro, per gli amici,
per Dio, per la vita interiore. La
veste nuziale quindi non può essere solo una questione di cose da fare o non
fare ma una nuova mentalità da assumere: accogliere e vivere la misericordia,
l’accoglienza e la compassione di Dio. Il
Vangelo oggi ci dice che è possibile fallire la vita. Ad
ognuno di noi è posta una condizione: il vestito di nozze. E non è questione
di sbagli fatti, o scelte non indovinate o peccati commessi, è ben altro! L'uomo
senza veste nuziale non è peggiore degli altri; egli non ha creduto alla festa,
non ha portato il suo contributo di bellezza alla liturgia delle nozze, non ha
creduto davvero alla misericordia e alla compassione. Si
è sbagliato su Dio che invita davvero tutti alla festa di chi si sente
perdonato ed è disposto al perdono. Sbagliarsi
su Dio è un dramma,
scriveva David M. Turoldo, è la cosa peggiore che possa capitarci,
perché poi ci sbagliamo sul mondo, sulla storia, sull'uomo, su noi stessi. Sbagliamo
la vita. Una
domanda poi pensando a tante nostre celebrazioni eucaristiche: “ma
le nostre Chiese sono luoghi dove si respira la festa e la gioia? Non
sarà per caso che una chiesa dove non si contagia speranza e non si offre un
clima di autentica accoglienza sia una chiesa senza veste nuziale (e pertanto
fuori dalla grazia di Dio)?”
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