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+ Dal Vangelo secondo Giovanni    3,16-18

 

In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo:

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.

Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.

Alcuni appunti rispetto al contesto in cui appaiono le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni.  (apprezzate in altre occasioni, spero di fare ancora cosa gradita)

 

Nicodemo era un dottore che aveva la pretesa di conoscere le cose di Dio. Osservava Gesù con i suoi pregiudizi culturali e religiosi. Nella conversazione, Gesù fa percepire a Nicodemo (e a tutti noi) che l'unico modo in cui qualcuno può capire le cose di Dio è nascendo di nuovo.

Oggi succede la stessa cosa.

Molte volte siamo come Nicodemo: accettiamo solo ciò che va d'accordo con le nostre idee.

Il resto lo rifiutiamo considerandolo contrario alla tradizione, all’intelligenza, al buon senso.

Ma non sempre è così.

Ci sono persone che si lasciano sorprendere dai fatti, che si lasciano raggiungere dalla vita e che si lasciano mettere in dubbio, che accettano la sfida di intraprendere il faticoso cammino della rinascita.

C’è chi per questo si affida a sette, mutuate da più o meno antiche religioni naturali, c’è chi ha il coraggio di prendere sul serio il Vangelo e lasciarsi condurre dalla Parola di Vita, …ed è quello che la liturgia ci propone domenica dopo domenica.

 

Nel raccogliere le parole di Gesù Giovanni ha davanti agli occhi la situazione delle comunità della fine del primo secolo, ed è per loro che scrive. I dubbi di Nicodemo erano anche quelli delle comunità. E così la risposta di Gesù era anche una risposta per le comunità. Molto probabilmente, la conversazione tra Gesù e Nicodemo faceva parte della catechesi battesimale, poiché il testo dice che le persone devono rinascere dall'acqua e dallo Spirito (Gv 3,6). Focalizziamo allora le parole chiave che appaiono nel testo e che sono parole centrali nel vangelo di San Giovanni.

 

Amare è darsi per amore: La parola amore indica, innanzitutto, un'esperienza profonda di relazione tra diverse persone. Racchiude un insieme di sentimenti e valori: l'allegria, la tristezza, la sofferenza, la crescita, la rinuncia, il dono di sé, la realizzazione, la donazione, l'impegno, la vita, la morte... Nell'AT questo insieme di valori e sentimenti viene riassunto nella parola hesed, che, nelle nostre Bibbie, generalmente, viene tradotto con carità, misericordia, fedeltà o amore

Nel NT, Gesù rivela questo amore di Dio nei suoi incontri con le persone. Lo rivela con sentimenti di amicizia, di tenerezza (come altre volte abbiamo sottolineato). Gesù affronta la sua missione come una manifestazione d'amore: "dopo aver amato i suoi,. .. li amò sino alla fine" (Gv 13,1). In questo amore Gesù manifesta la sua profonda identità con il Padre: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi!" (Gv 15,9). E lui ci dice: "Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati!" (Gv 15,12). Giovanni così definisce l'amore: "Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" (1 Gv 3,16). Per le comunità non c'era altro comandamento all'infuori di questo: "comportarsi come Gesù si è comportato" (1 Gv 2,6).

Chi vive l'amore e lo manifesta nelle sue parole e nei suoi atteggiamenti, diventa Discepola Amata, Discepolo Amato.

Amò il mondo e si donò per salvare il mondo: La parola "mondo" si trova 78 volte nel vangelo di Giovanni, e con diversi significati. "Mondo" può significare la terra, lo spazio abitato dagli esseri umani (Gv 11,9; 21,25) o l'universo creato (17,5.24). Qui nel nostro testo, "mondo" significa le persone che abitano questa terra, tutta l'umanità, amata da Dio, che per essa dona il suo Figlio unigenito (cf Gv 1,9; 4,42; 6,14; 8,12). Può anche significare un gruppo numeroso di persone, nel senso di "tutto il mondo" (Gv 12,19; 14,27). Ma nel Vangelo di Giovanni, "mondo" significa, soprattutto, quella parte dell'umanità che si oppone a Gesù e diventa suo "avversario" o "oppositore" (Gv 7,4.7; 8,23.26; 9,39; 12,25). Questo "mondo", contrario alla pratica liberatrice di Gesù, è dominato dall'Avversario, Satana, chiamato anche "principe del mondo" (14,30; 16,11), che perseguita ed uccide le comunità fedeli (16,33), creando una situazione di ingiustizia, di oppressione, mantenuta da coloro che sono al potere, dai dirigenti sia dell'impero che della sinagoga (uomini potenti nell’economia nella politica e nella religione, cose sempre attuali).

Essi praticano l'ingiustizia usando a questo scopo il nome di Dio stesso (16,2). La speranza che il vangelo di Giovanni comunica alle comunità è che Gesù vincerà il principe di questo mondo (12,31). Lui è più forte del "mondo". "Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!" (16,33)

 

Il Figlio Unigenito di Dio che si dona per noi: Uno dei titoli più antichi e più belli, che i primi cristiani scelsero per descrivere la missione di Gesù è quello di "Difensore". In lingua ebraica dicevano Goêl. Questo termine indicava il parente più prossimo, il fratello più anziano, che doveva riscattare i suoi fratelli, minacciati di perdere i loro beni (cf. Lv 25,23-55). Quando all'epoca della prigionia di Babilonia, tutto il popolo, anche il parente più prossimo, perdette ogni cosa, lì Dio stesso divenne il Goêl del suo popolo. Lo riscattò dalla schiavitù. Nel Nuovo Testamento, è Gesù il figlio unigenito, il primogenito, il parente più prossimo, che divenne il nostro Goêl. Questo termine o titolo riceve traduzioni diverse: salvatore, redentore, liberatore, avvocato, fratello maggiore, consolatore, ed altre (cf. Lc 2, 11; Gv 4,42; At 5,31 ecc). Gesù assunse la difesa ed il riscatto della sua famiglia, del suo popolo. Si dette del tutto, completamente, affinché noi, suoi fratelli e sorelle, potessimo nuovamente vivere in fraternità. Fu questo il servizio che egli rese a tutti noi. Fu così che si compì la profezia di Isaia che annunciava la venuta del Messia Servo. E lui stesso diceva: "Il Figlio dell'Uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto (goêl) per molti" (Mc 10,45). Paolo esprime questa scoperta nella frase seguente: "Mi ha amato e ha dato se stesso per me!" (Gal 2,20).

 

 

Spesso mi ritrovo a pensare che il cammino di fede fatto finora non è solo che un frammento della ricchezza nascosta nel mistero di Dio. La stessa vita che è così complicata, difficile e al medesimo tempo affascinante e meravigliosa, parla del mio limite nel capire fino in fondo ciò che sono.

Io così lento a credere davvero (quel credere che fa cambiare e stravolge la vita per intenderci), avrò bisogno forse di tutta la vita non per capire, ma solo per assaporare un poco della fede: io, così limitato, come potrò cogliere qualcosa della Trinità?

Dio che è uno e trino.

Percepisco che potrebbe esserci una strada, e non è quella delle formule e dei concetti.

 

Pensare di capire la Trinità attraverso le formule è come tentare di capire un quadro analizzando la composizione chimica dei colori con cui è dipinto.

Dio non è una definizione ma un'esperienza.

La Trinità non è un concetto da capire, ma una manifestazione da accogliere.

Penso all’esperienza dell’abbandono nell’abbraccio con la persona amata, qualcuno potrà  esattamente descriverla?

Non si connoterà forse della ricchezza, dei sentimenti, delle emozioni e della storia di ciascuno?

Penso a Dio come un abbraccio. Se non c'è amore, non vale nessuna definizione.

Se non c'è amore, nessun documento o nessun pulpito sa dire “Dio”.

Dio come un abbraccio: è il senso della Trinità. Dio non è in se stesso solitudine, ma comunione.  Se il nostro Dio non fosse Trinità, vale a dire incontro, relazione, comunione e dono reciproco, sarebbe un Dio meschino, deludente, come minimo assente e distratto.

 

Dio ha tanto amato il mondo, da mandare suo Figlio...

Dio è estasi, cioè un uscire-da-sé in cerca di soggetti d'amore, in cerca di un popolo, di gente come noi, anche se di dura cervice, dei quali farsi compagno di viaggio e ristoro nell'arsura estrema dei nostri deserti.

Il mondo e l’uomo sono la storia della Trinità.

Parlano della presenza/relazione di Dio tra/con noi.

Storia di relazione continua, anche nei sentieri distorti, difficili, spesso sbagliati e deludenti della vita di tutti i giorni.

Lo Spirito, Amore, accende il cuore di sempre nuovi e comuni profeti di bene e di speranza, allarga i nostri piccoli orizzonti con prospettive che mozzano il fiato; il Padre con la sua misericordia rallenta il suo passo sul ritmo del nostro, ci attende con le braccia aperte e spesso ci viene incontro; il Figlio è parola e pane, luce e alimento per il cammino (a volte estenuante) alla ricerca di senso, nella fame insaziabile d’essere amati.

 

E questo ci sarebbe bastato.

 

Invece l'Ascensione ha portato la nostra natura al centro stesso della Trinità, quell'uomo già creato ad immagine non di Dio, ma della Trinità, l'uomo pensato come un abbraccio.

 

Trinità festa che ci obbliga a ripensare e rivedere le nostre definizioni e le nostre “immagini” di Dio: essendo relazione Dio non è mai uguale a se stesso, cambia, come cambia la vita, come cambiamo noi nella vita, come cambia l’amore tra noi e in noi, un’identità quella di Dio al contempo chiara e ben identificabile proprio per questo movimento d’amore, …e in questo amore relazionale è fedele a se stesso.

 

Una festa quella di oggi che per capire Dio ci provoca a ripensare le nostre esperienze d’amore, ad uscire da noi stessi, ad affidare la nostra vita e la gioia del nostro vivere alla vita e alla gioia di vivere di chi amiamo.

 

Solo nel lento, faticoso ma vitale cammino di “uscire da noi” per ritrovarci nel bene condiviso e nell’amore gratuitamente donato, possiamo percepire qualcosa, possiamo balbettare qualcosa su Dio senza correre il rischio di essere striduli e squallidi (bronzo che risuona, cembalo che tintinna ci ricorda S. Paolo in 2Cor 13).

 

Auguri a tutti noi di buona strada nella ricerca d’amore gratuitamente donato e ricevuto: anche i nostri gesti di giustizia possano avere il sapore della relazione, dell’accoglienza e dell’abbraccio.