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+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva ridotto al silenzio i sadducei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi.
Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”.
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: “Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo”. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: “Di chi è questa immagine e l’iscrizione?”. Gli risposero: “Di Cesare”.
Allora disse loro: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

Al tempo di Gesù, il popolo della Palestina pagava moltissime imposte, tasse, tributi, multe, contribuzioni, offriva donativi, decime. Secondo i calcoli fatti da studiosi, la metà delle entrate familiari erano destinate a pagare le imposte.

(Per avere un'idea di tutto ciò che la popolazione pagava in imposte alla fine troverai una nota)

Quello presentato a Gesù dalle autorità giudaiche era un assunto polemico che divideva l'opinione pubblica.   (Le tasse sono sempre state un problema)

Volevano a tutti i costi accusare Gesù e, così, diminuire la sua influenza sulla gente.

Come Gesù, anche i cristiani delle comunità cristiane della Siria e della Palestina, per le quali Matteo scriveva il suo vangelo, erano accusati ed interrogati dalle autorità, politico/religiose, dai gruppi o dai vicini che si sentivano a disagio per la loro testimonianza che non era facilmente riconducibile a logiche di contrapposizioni ideologiche o religiose.

Leggendo questi episodi di conflitti con le autorità si sentivano confortati dalle parole di Gesù e prendevano coraggio per continuare nella costruzione di una comunità cristiana, aperta, accogliente e capace di tessere una forte rete di tessuto sociale.

 

Ancora il testo di Matteo si sofferma sulla irriducibile smania di potere delle autorità religiose del tempo: sotto l'apparenza di fedeltà alla legge di Dio, cercano motivi per accusarlo.

Se Gesù avesse detto: "Devi pagare!" avrebbero potuto accusarlo, insieme alla popolazione, di essere amico dei romani.

Se lui avesse detto "Non devi pagare!" avrebbero potuto accusarlo, con le autorità romane, di essere un sovversivo.

Una strada senza uscita!

 

Di fatto gli interlocutori, riconoscevano già l'autorità di Cesare. Stavano già dando a Cesare quello che era di Cesare, poiché usavano le sue monete per comprare e vendere e perfino per pagare il tributo al Tempio. Di conseguenza, la domanda era inutile.

Perché chiedere una cosa, la cui risposta è già evidente nella pratica?

Loro che per la domanda fingevano di essere servi di Dio, stavano dimenticando la cosa più importante: dimenticavano di dare a Dio ciò che era di Dio!

A Gesù interessa che "rendano a Dio quello che è di Dio", cioè, che restituiscano il popolo che si era allontanato per loro colpa da Dio, perché con i loro insegnamenti bloccavano al popolo l'entrata del Regno (Mt 23,13).

"Rendete a Dio quello che è di Dio", cioè praticate la giustizia e l'onestà secondo le esigenze della Legge di Dio, perché a causa della vostra ipocrisia state negando a Dio quello che gli è dovuto.

I discepoli e le discepole, di ogni tempo devono rendersi conto di questo.

 

Quanto di ciò è ancor valido per la nostra Chiesa cattolica romana?

Che Gesù ci chieda forse, a noi e alle autorità ecclesiali tutte, di restituirgli il popolo che si è allontanato anche per le nostre chiusure e normative che navigano lontano dalla realtà? Che Gesù chieda forse alla Chiesa di praticare maggiormente la giustizia, l’onestà e la solidarietà al proprio interno e nei confronti del mondo intero?

Cercare la verità, quella che viene solo da Dio (il bene pieno e integrale per tutti e per ciascuno) è una necessità, se uno dà voce alla sua coscienza, e chiude l’udito alle tante voci che come frastuono pericoloso danneggiano la sensibilità della personale percezione. Ascoltare la propria coscienza,  ascoltare le grida di aiuto e di desiderio di ascolto che giungono da ogni dove, più che preoccuparsi dei propri interessi, è un lavoro che probabilmente anche la Chiesa dovrebbe mettere in atto.

Abbiamo assistito in questo periodo a silenzi imbarazzanti da parte delle autorità religiose e a discutibili prese di posizione.

 

I milioni di morti di fame e le vergognose disuguaglianze tra popoli e nelle stesse nazioni, non sono reati da fare passare in silenzio. Non si può accettare passivamente o con indifferenza che ci siano queste silenziose e sanguinose guerre che non fanno rumore, ma tanto scempio alla giustizia e pace. Ma non solo il mondo ha un suo Nord di ricchezza e un suo Sud di miseria: ma ogni città, ogni nazione. Anche in Italia, anche nel Veneto, a Padova, nella mia parrocchia c'è un Nord che sembra coltivare benessere ed un Sud che a stento cerca di sopravvivere.

A volte siamo ricchi sulla povertà e sullo sfruttamento di alcuni miliardi di uomini.

Non possiamo continuare a far silenzio sulle scelte, mirate e strategicamente condotte, che portano certa classe dirigente ad ancorarsi sempre più stabilmente nel potere economico, finanziario e politico, stravolgendo il senso della democrazia utilizzandola sempre più  per la ricerca del solo proprio immediato tornaconto.

Quante parole sono state dette e scritte in questi ultimi tempi a proposito della Chiesa che interviene sui grandi problemi dell'uomo, della vita, della giustizia.

Ma, siamo d’accordo, la Chiesa non può tacere: non deve tacere.

 

E che Chiesa deve parlare? Uno a nome di tutti? Uno che interpreta il senso di tutti?

O ciascun cristiano in forza del proprio battesimo ed una coscienza illuminata può portare il proprio contributo?

Quando la smetteremo, paurosi di prendere le nostre responsabilità, di identificare la Chiesa con le autorità ecclesiastiche? Quando i Vescovi termineranno di pensare che la verità della Chiesa non viene garantita dai pronunciamenti ufficiali ma da una visione di vita condivisa nella fraternità, da uno stile di vita fondato nella ricerca sincera non di privilegi ma della dignità per ogni uomo?

 

È lecito o no pagare il tributo a Cesare?

Gesù risponde alla perfida domanda dei detentori del potere con due cambi di prospettiva.

Muta il verbo dare/pagare in restituire: restituite a Cesare ciò che è di Cesare.

Usa un imperativo, forte, collocato all'inizio della frase, che non si riferisce né ad una moneta, né ad un imperatore, né ad un tributo specifico, ma ad un comandamento complessivo.

Ridate indietro a Cesare e a Dio, perché nulla di ciò che hai è davvero tuo.

Sia tu l’ultimo dei battezzati o un principe della chiesa.

Esistere non è un diritto, prima ancora è un debito.

…esistere come Chiesa non è un diritto, ma prima ancora un debito.

 

Continuo al singolare, ma potremo usare pure il plurale e parlare della Chiesa.

 

Sono in debito verso Dio e verso gli altri, genitori, amici, storia, cultura, lavoro: anche sul mio pane quotidiano è impressa la storia d'innumerevoli mani (…e la mano di Dio).

Un tessuto di debiti è la mia vita: mi vien chiesto di pagare il mio debito d'amore, di benessere, di salute, d’istruzione. Vita va, vita viene: la vita è un continuo fluire dello Spirito.  Da altri a me, da me ad altri, in circuito aperto.

Dal momento che inizio ad esistere, esisto in alleanza.

Anzi, sintesi di due alleanze, crocifisso nella croce di due amori: quello di Dio e quello degli uomini.

 

E chi è Cesare? Solo lo Stato, il potere, con il suo pantheon di politici/vip che passano da “porta a porta”? Forse che io non sono parte di questa società? (forse che come Chiesa non siamo parte di questa società???)

Allora mi spetta di dare qualcosa. (allora come Chiesa mi spetta di dare qualcosa).

Non mi basterà più dire: tu che cosa pensi del nostro mondo? Ma ti domanderò: tu che cosa dai alla nostra società? Che cosa fai per ricucire questo nostro paese dove abbiamo la ventura e il dono di esistere? E se Cesare sbaglia il mio tributo sarà correggerlo; e se ruba gli porterò il tributo della coscienza che gli ricorda i suoi doveri.

Il tributo di essere coscienza critica con la vita attenta alla giustizia al bene comune alla società da costruire (non ricerca di agevolazioni tributarie o facilitazioni per l’opera educativa svolta…)

 

La seconda novità provocatoria Gesù la introduce con il richiamo a Dio.

L’abbiamo prima accennata ed è questa la vera questione cui vuole rispondere, la scelta decisiva; che cosa occorre rendere a Dio.

A Cesare spetta una cosa, la moneta. A Dio spetta la persona, con tutto il suo cuore, con tutta la sua mente, con tutte le sue forze.

Io, come talento che porta l'effigie di Dio, devo restituire niente di meno di me stesso.

Devo restituire la mia vita, facendo brillare l'immagine coniata in me, progressivamente, finalmente uomo.

Restituite a Dio ciò che è di Dio.

Parola che dice a Cesare: non prendere l'uomo. Non rubare l'uomo.

E ricorda alla Chiesa che non può non affiancarsi con sincerità e nella verità (guardando alla misericordia di Gesù) ad ogni uomo che soffre, che cerca speranza, che desidera una parola di comprensione per ricondurre a Lui Padre Compassionevole i suoi figli.

Le ricorda che non può affannarsi con i “grandi” di turno per cercare posizioni di favore o di potere, perché si deve e vive solo per la misericordia e la verità di Dio, e senza lo stupore di essere vivo per Misericordia, non saprà comunicare autenticamente la Compassione di Dio per l’uomo.

 

 



 

 

 
 Nota sulle imposte al tempo di Gesù

Imposte Dirette sulle proprietà e sulle persone fisiche:

Imposta sulla proprietà (tributum soli). I fiscali del governo verificavano l'entità delle proprietà, della produzione e del numero di schiavi e fissavano la quantità da pagare. Periodicamente, c'erano nuove fiscalizzazioni mediante censimenti.

Imposta sulle persone (tributum capitis). Per i ceti poveri, senza terra. Includeva sia le donne che gli uomini, tra i 12 ed i 65 anni. Un'imposta sulla forza del lavoro: il 20% del reddito di ogni individuo era per l'imposta.

Imposta Indiretta su varie transazioni:

Corona d'oro: originalmente, si trattava di un dono all'imperatore, ma diventava un'imposta obbligatoria. Veniva pagata in occasioni speciali, quali per esempio le feste o le visite dell'imperatore.
Imposta sul sale: Il sale era monopolio dell'imperatore. Il tributo riguardava il sale per uso commerciale. Per esempio, il sale usato dai pescatori per salare il pesce. Ecco da dove viene la parola "salario".

Imposta sulla compravendita: Per ogni transazione commerciale si pagava l'1%. Era i fiscali che raccoglievano questi soldi. Nella compra di uno schiavo, per esempio, esigevano il 2%.

Imposta per svolgere una professione: Per fare qualsiasi cosa c'era bisogno di una licenza. Per esempio, un calzolaio della città di Palmira pagava un denaro al mese. Ed un denaro era l'equivalente al salario di una giornata. Perfino le prostitute dovevano pagare.

Imposta sull'uso di cose di pubblica utilità: L’imperatore Vespasiano introdusse l'imposto per poter usare i bagni pubblici a Roma. Lui diceva "Il denaro non ha odore!"

* Altre tasse ed obblighi:

Pedaggio: Si trattava di un’imposta sulla circolazione delle merci, chiesto dai pubblicani. Si pagava il pedaggio sulle strade. Nei punti fiscali c'erano soldati che obbligavano a pagare coloro che non volevano farlo.

Lavoro forzato: Tutti potevano essere obbligati a rendere qualche servizio allo Stato durante cinque anni, senza essere remunerati. Fu così che Simone fu obbligato a portare la croce di Gesù.

Sussidio speciale per l'esercito: La popolazione era obbligata ad offrire ospitalità ai soldati. E bisognava pagare una certa quantità di denaro in alimenti per il sostento delle truppe.

* Imposta per il Tempio e per il Culto:

Shekalim: Era l'imposta per la manutenzione del Tempio.

Decimo: Era l'imposta per la manutenzione dei sacerdoti. "Decimo" significa la decima parte!
Primizie: Era l'imposta per la manutenzione del culto. "Primizie" ossia i primi frutti di tutti i prodotti del campo