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Dal
libro del Siracide + Dal Vangelo secondo Luca Approfitto dei testi biblici: questa insistenza al tema della preghiera apre ad una breve sottolineatura sul nostro pregare. Alcune semplici righe sulla preghiera del cuore. Nella preghiera interviene tutto il mio essere di uomo e di donna: il mio corpo e il mio spirito, la mia intelligenza e la mia volontà, i miei gesti e le mie posizioni come i miei atteggiamenti profondi. Ciononostante, si prega soprattutto con il cuore. Dalle mie labbra sgorgano le parole che sono nate prima nel mio cuore. La posizione del mio corpo deve essere un riflesso della posizione con cui sto davanti a Dio nell'intimità della mia anima. Il cuore non è solo il luogo dell’affetto, ma è tutto il mondo interiore, quel luogo profondo dove ritrovo me stesso e mi apro alla verità di Dio. Luogo dove parlo della mia vita, dei miei limiti, delle mie paure, deve piango tutte le lacrime della mia sofferenza, per le mie angosce, per i miei dubbi, per le mie paure e per le mie inconsistenze; luogo dove, avvertito con estrema delicatezza il suo amore e la sua misericordia, comunico tutta la mia fede e la mia riconoscenza. Credo sia necessaria la cura dell'orazione del cuore nelle orazioni “a voce alta”(quelle che si fanno insieme ad altri, per esempio in comunità, o seguendo testi scritti o conosciuti a memoria), per fare in modo che queste non si trasformino in qualcosa di abitudinario, in un ritornello tante volte udito, che ci lascia indifferenti. Dobbiamo aver cura della
preghiera del cuore quando meditiamo, per far sì che la nostra Preghiamo a cuore aperto, perché Dio ci ascolti allo stesso modo con il suo cuore di misericordia e di amore. In tale prospettiva comprendiamo il testo del vangelo di questa domenica. Gesù nel vangelo ci ricorda che la preghiera è un momento di verità: solo riesce a stabilire una autentica relazione con Dio chi, avendo fatto luce sulla propria vita, chiede forza, perdono, senso, aiuto…e ascolta la Parola di verità che viene da Dio. Il “Fariseo” e il “Pubblicano” non sono due persone ma due modi di intendere la vita, due modi contrapposti di essere uomini: ü l’uomo orgoglioso, arrogante e sprezzante ü l’uomo umile, cosciente dei propri limiti, giusto, l’uomo di fede. Ci sorprende il fatto che il primo, in quanto fariseo sia un uomo religioso, socialmente stimato e considerato, il secondo, in quanto pubblicano, sia un uomo che certamente non era citato ad esempio anzi al margine della comunità religiosa del tempo e per definizione “inaffidabile”. Gesù mette in guardia ancora una volta: ü non l’uomo religioso incontra Dio, ma l’uomo di fede. Rispetto al significato dell’ “aver fede”
rimando, per non ripetermi, ai vangeli delle scorse domeniche. Interessantissima la nota iniziale “Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri”: entra in relazione con Dio, riesce a pregare davvero e infine viene ascoltato, non colui che mette al centro se stesso, ma colui che è disponibile a mettersi in relazione anche con i fratelli. Il fariseo dice cose vere, egli fa tutto quello che deve fare, anche di più di quello che altri fanno: attento e scrupoloso nei riti e nel rispetto delle norme; non fa però l’unica cosa che davvero conta per Dio: non entra in relazione “a pari dignità” con i fratelli. Quasi a dire che l’assenza di misericordia e compassione ci allontana da Dio (stando al testo del vangelo ci allontana dalla giustificazione, in altre parole dal senso autentico della nostra vita). A pensarci un attimo ci accorgiamo che questo atteggiamento farisaico non è tanto lontano da noi: il confidare nei risultati e nelle azioni che portano ad essere socialmente apprezzati, (“politicamente corretti” si usa dire da qualche tempo) … dedicare anima e corpo per entrare a far parte della “società bene” (a qualsiasi livello, dall’economico a quello lavorativo, tra conoscenti, nella stessa comunità cristiana…), alchimie ed equilibrismi per addentrarsi nei posti che contano, …quanta profusione di tempo ed energie, quanta ipocrisia quando la posizione ottenuta o le “cose buone che facciamo” ci danno il diritto e ci giustificano nell’arroganza di giudicare gli altri!!! Oltre la competitività dei meriti e del giustificarsi in base a ciò che gli altri fanno o non fanno oggi ci viene consegnata la via dell’umiltà. Che, lontano dall’essere disistima di sé, significa riconoscere il bene di Dio in noi, la sua misericordia infinita e riconoscere (o per lo meno “sospettare”, se la nostra fede non ci consente di più) il nuovo che Dio compie negli altri, senza imprigionarli nel passato e nel vecchio del nostro pregiudizio. Umiltà: serena coscienza dell’uomo di fede che se da un lato riconosce che mai potrà ripagare Dio per tutto l’amore e la misericordia ricevuti dall’altro risponde con misericordia e gratuità ai fratelli che incrociano il suo cammino.
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