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al secondo libro dei Re

In quei giorni, Naaman Siro scese e si lavò nel Giordano sette volte, secondo la parola dell’uomo di Dio, e la sua carne ridivenne come la carne di un giovinetto; egli era guarito.

Tornò con tutto il seguito dall’uomo di Dio; entrò e si presentò a lui dicendo: “Ebbene, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele. Ora accetta un dono dal tuo servo”. Quegli disse: “Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò”. Naaman insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò. Allora Naaman disse: “Se è no, almeno sia permesso al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne portano due muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dei, ma solo al Signore”. (2re 15,14-17)

 

+ Dal Vangelo secondo Luca

Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!”. Appena li vide, Gesù disse: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. E gli disse: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”. (Lc 17,11-19)

 

 

Obbedienza, è ancora una virtù?

Non ci sono gesti di guarigione né di Eliseo né di Gesù. Non si pronunciano formule terapeutiche, dirette all'infermo, come accade in altri racconti di miracoli. C'è solamente un comando.

Sia Naaman che i dieci lebbrosi ancora non sono stati guariti, e neppure sanno se lo saranno.

Ma si fidano, ed obbediscono. E’ la forza della disperazione quella che li anima? …non ci è dato di sapere, certo la forza della loro fiducia e della loro obbedienza fece possibile

il miracolo.

L'obbedienza implica già, almeno, un grado minimo di fiducia nella persona a cui si obbedisce.

Una fiducia che non è esente da inciampi e difficoltà.

ü      …Naaman. aveva un altro concetto ed altre aspettative sul miracolo e sul modo di realizzarsi: nulla di ciò accadde, non avvenne come pensava. Egli non vide nemmeno Eliseo, poiché il messaggio del profeta gli giunse tramite un intermediario, tanta “in conformità” con le sue idee lo pose addirittura furioso.

ü      I dieci lebbrosi, al comando di Gesù, si misero in cammino verso il tempio di Gerusalemme. Dovevano camminare per alcuni chilometri. Continuavano ad essere lebbrosi e... come salire così fino a Gerusalemme, e presentarsi ai sacerdoti? Non sarebbe stato meglio aspettare fino a constatare che erano realmente guariti? …camminarono obbedienti e nel cammino sentirono che la loro carne si rinnovava e si sanava.

Mi chiedo se certi miracoli nella mia vita  non siano avvenuti (non avvengano) solo perché le modalità con cui cominciano a manifestarsi (le cose o i passi richiesti per…) non corrispondono a ciò che io ho in mente, o non combaciano a ciò che “logicamente” o “socialmente” ci si aspetterebbe.

Non so, forse un po’ più di obbedienza a ciò che la vita mi fa percepire come possibilità, al cammino  fiducioso nei metodi “poveri” e “perdenti” usati da Gesù …forse non andrebbe esclusa in partenza.

 

La "guarigione integrale” o “la salvezza” o “il senso profondo dell’esistere”

Naaman fu guarito dalla lebbra, ma continuava ad essere malato di cecità spirituale: come uomo bene educato, ritorna a casa di Eliseo e gli offre, in segno di ringraziamento, ricchi regali…

Nove lebbrosi proseguono la loro marcia verso Gerusalemme, si presentano al sacerdote e ritornano felici a casa, dimenticandosi di Gesù e rendendo così impossibile il fatto che Gesù conceda la salvezza che egli è venuto a portare…

Un samaritano, vedendosi guarito, sente interiormente l'impulso di tornare da Gesù per ringraziarlo. Si prostra ai suoi piedi in riconoscente adorazione. E Gesù gli concede non solo di vedersi libero dalla lebbra, ma anche dal peccato, da tutto ciò che gli impediva di ottenere la salvezza. "Va', la tua fede ti ha salvato".

Essere guariti non significa essere salvati.

 

I testi biblici non sono per farci esclamare frasi fatte e ritrite del tipo: “Non c’è più gratitudine in questo mondo” (aggiungendo magari quell’odioso: “…una volta non era così…”). La questione presumo sia molto più seria dell’irritazione per un mancato riconoscimento di meriti.

Mi riecheggiano piuttosto frasi del tipo: “Io nella vita mi son fatto tutto con le mie mani”; “Io non devo niente a nessuno”; “Meglio arrangiarsi e  non aver debiti con nessuno”.

La cultura dei diritti in cui siamo immersi probabilmente ci ha spinti verso uno stile di vita ispirato all’autosufficienza, dove il chiedere è abominevole segno di debolezza, sinonimo di servitù (forse perché ancorato ad un recente passato fatto di soprusi e violenze da parte di “padroni”).

La vita che abbiamo tra le mani, anche se lontana da quell’ideale sperato da ciascuno, è indubbiamente tutto ciò di cui disponiamo per far fronte al domani (e che per quanto limitata o segnata dagli errori nessuno si sente in diritto di disprezzare).

E questa vita “nostra” in realtà la dobbiamo ad un atto d’amore “presumibilmente” gratuito tra un uomo ed una donna e per quanti limiti e condizionamenti ereditati non possiamo che riconoscere di essere debitori a un sacco di gente.

Nel vangelo ci viene presentato l’itinerario compiuto della fede simbolizzato dalle due forme di porsi nei confronti di Gesù: dalla supplica, alla lode della gratitudine.

Non per indicare una modalità di preghiera piuttosto che un’altra ma per sottolineare lo stile della vita che nasce dalla fede in Gesù il Cristo

 

Ho cercato nei salmi una frase più volte pregata nei vesperi: “per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare” (salmo 49): la fede ci fa il regalo di percepire che l’uomo vero è colui che sa di esistere grazie a una promessa che lo precede, a un dono che lo anticipa, di cui non potrà mai sdebitarsi, ma per il quale sentirà sempre di dire grazie e vivere nella gratitudine.

Aver fede è percepire la presenza gratuita e vivificante di Dio in me che riempie lamia e altrui esistenza.

Sapere che Dio gratuitamente ci ha dato la vita e per quante cose possano succederci siamo sempre nelle sue mani!

Ma non ci nasce una gioia profonda e un grande senso di gratitudine?

La gratitudine del Samaritano nasce dalla gioia di sentirsi “amato, importante, considerato” e avverte che la sua stessa vita, il suo stesso corpo è il luogo della manifestazione della misericordia di Gesù.

 

 

 

Chiedo per me e per voi di poter avvertire il suo amore sempre nei piccoli/grandi miracoli di ogni giorno e avvertire anch’io la mia vita e il mio stesso corpo luogo della sua misericordia.

 

…il problema, ho l’impressione, non sia solo di chiedere qualche miracolo ma anche e soprattutto di riconoscere i miracoli semplici e quotidiani che già sorreggono la nostra vita, …riconoscere il miracolo della fede che ci rivela un amore concreto, coinvolgente, gratuito e fedele             Se moriamo con lui, vivremo anche con lui;
                        se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo;
                         se lo rinneghiamo, anch’egli ci rinnegherà;
                        se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele,
                        perché non può rinnegare se stesso   (2^lettura)

 

 

 

 

 

 

 

Non posso terminare senza una annotazione.

Naaman il Siro e un Samaritano.

Due stranieri, due non considerati degni della misericordia di Dio, sentenziati “fuori” dalla grazia di Dio, posti dalla Parola di Dio come esempio, addirittura il samaritano indicato come “salvato”!

 

Secondo la Legge i lebbrosi dovevano spaventare e allontanare le persone che tentavano di avvicinarsi (cfr. Lev 13,45). La lebbra era considerata castigo di Dio. In questo racconto, i lebbrosi e, specialmente il samaritano, sono la sintesi dell'esclusione e della povertà al tempo di Gesù. Obbediscono alla Legge (infatti, gridano), ma la trasgrediscono pure, in nome della fede nel Dio che salva gli esclusi: "Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!".

Il clamore di quanti vivono ai margini della società è un appello alla vita, più che una denuncia della loro miseria. Gesù risponde alla fede degli emarginati: "Andate a presentarvi ai sacerdoti" (v. 14a). I sacerdoti erano incaricati di dare il "certificato di guarigione" al lebbroso curato, e dopo, questo e il sacerdote, dovevano fare un rito complicato e misterioso e offrire sacrifici (Cfr. Lev 14,1-32).

Il dettaglio è importante, perché solo il samaritano ritorna per dare gloria a Dio.

Ciò suscita una domanda:

“che cosa è importante: restare nella sicurezza di un'istituzione anche se fatta di esteriorità e incapace di curare o ritornare da Gesù, colui che crea con i poveri ed emarginati, storia e società nuove?” (“Ti benedico o Padre perché ai piccoli hai rivelato”, “Ha innalzato gli umili e ha mandato a mani vuote i ricchi”…)

 

La grazia ad un samaritano (ricordiamo che all’inizio di tale viaggio verso Gerusalemme Gesù era stato rifiutato proprio da dei Samaritani 9,52) ci parla dell’attenzione di Dio verso lo straniero e diventa uno stimolo a verificare l’esistenza in noi di pregiudizi più o meno sottaciuti, verso coloro che sono portatori di differenze etniche, culturali o religiose.