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+ Dal Vangelo secondo Matteo

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà a quelli posti alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”.

Nel capitolo che precede questo testo, il 24, si trova Gesù che guardando con i suoi discepoli il tempio esce con questa considerazione: “Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra…

Val la pena considerare ogni tanto come fa Battiato in una sua canzone: “Che cosa resterà di noi, del transito terrestre, di tutte queste cose avute nella vita?”

Ed è pure legittima la domanda che gli rivolgono i discepoli nel versetto successivo “Dicci quando accadranno cose e quale sarà il segno della tua venuta alla fine del mondo”.

Sì perché, ci pensiamo o no, la fine del mondo o per lo meno la fine della nostra vita, è un fatto inevitabile. Come sarà, in quale modo, e se, avverrà un giudizio sulla nostra vita è un pensiero che ci fa bene tenere in considerazione.

 

La liturgia con la Solennità di Cristo Re dell’Universo vuole aiutarci in questa riflessione che si muove sullo sfondo di ciò che ha senso, di ciò che conta e ci chiede la disponibilità (per poter capire) di liberarci per un attimo da tutto ciò che ci abbaglia e ci fa correre troppo nell’oggi del nostro vivere.

 

Nel capitolo 25 di Matteo troviamo le risposte a tali preoccupazioni, sono i testi di queste ultime tre domeniche. Interessante! Troviamo che nel parlarci della “fine”, i testi,  ci raccontano cosa è opportuno fare “ora” nella nostra vita. Non si dilungano a soddisfare curiosità sul giorno finale ma ci dicono che avrà a che fare con il modo in cui abbiamo vissuto nell’ “oggi”: ora bisogna acquistare l’olio, che consiste nel trafficare/ duplicare/con- dividere il dono dell’amore ricevuto (il nostro talento), e farlo nell’accoglienza/disponibilità verso coloro che vivono in situazioni di disagio.

Il Vangelo di oggi ci dice che ci sarà una sentenza, ma non sarà frutto di un giudizio che viene da “fuori”, sarà una lettura di ciò che è stata la nostra vita: hai allontanato gli affamati, gli assetati, gli stranieri, i nudi, gli ammalati, i carcerati? Ti sei allontanato da me, ci dirà il Signore; ma pure dirà: “Venite benedetti”, voi che mi avete avvicinato nella vita di tutti i giorni. Il giudizio che il “re” farà “allora” sarà lo stesso giudizio che noi “ora” facciamo al bisognoso. In realtà dal testo sembra proprio che siamo noi a giudicare il Signore, accogliendolo o respingendolo, non viceversa, Lui non farà che constatare ciò che noi “oggi” facciamo.

Al rileggere il vangelo ci rendiamo conto che è una rappresentazione assai efficace su ciò che noi stiamo facendo ora nella nostra vita.

 

Il Padre è nei cieli, siamo tutti d’accordo, ma oggi ci viene ricordato che i cieli del Padre hanno confini diversi dai nostri, anzi sconfinano clandestini, senza certificati o documenti: “quando Signore non ti abbiamo riconosciuto?”

“Ciò che avete fatto ai miei fratelli, è a me che l'avete fatto”.

I poveri, gli stranieri, gli ammalati, i carcerati sono il cielo di Dio.

Dio, a noi benpensanti, non chiede diritto di cittadinanza: vive nella vita del necessitato, “del piccolo”, per gridare il diritto alla dignità.

Siamo davanti al fondamento più ampio possibile di un agire che porti alla comunione tra gli uomini; ci viene quasi imposto un criterio di azione che va al di là di ogni steccato religioso/ideologico.

Nei brani che seguono il testo di oggi troviamo questo “re” povero, deriso, percosso, estraneo a tutti, legato, nudo, ferito che finisce sulla croce

 

Ancora di più quindi: i più “piccoli”, gli esclusi, i bisognosi, sono fratelli di Dio.

Nel Suo cielo allora entreremo, solo se saremo entrati nella vita del povero.

 

Matteo presenta sei opere, vaste quanto è vasto il campo del dolore umano.

A nessuno di noi è chiesto di compiere miracoli, ma di prenderci cura.

Non di guarire i malati, ma di visitarli; di accudire con premura un anziano in casa, custodire in silenzioso eroismo un figlio handicappato, aver cura senza clamori del coniuge in crisi, di un vicino che non ce la fa. Quante persone attorno a noi nascondono un vissuto di solitudine, abbandono e sofferenza…

Esigente bellezza di questo Vangelo: prendersi cura del fratello è così importante che Dio lega la vita eterna ad un pezzo di pane dato all'affamato; è così facile che nessuno è senza un po' di tempo o di acqua o di cuore, da non poter essere salvo.

 

Una cosa affascinante e al contempo liberante di questo brano: argomento del giudizio non sarà tutta la mia vita, ma le cose buone della mia vita; non la fragilità, ma la bontà; il Padre guarderà non a me, ma attorno a me, alla porzione di lacrime e di sofferenti che mi è stata affidata, per vedere se qualcuno è stato da me consolato, se ha ricevuto pane e acqua per il viaggio, coraggio per oggi e per domani.

Dio non andrà in cerca della nostra debolezza, ma del bene fatto.

 

Misura dell'uomo e di Dio, misura della storia, è il bene.

Davanti a Lui non temo la mia debolezza, ho paura solo della mia grettezza e indifferenza.

Capire che si ha bisogno di noi, ora, è allora più importante che chiederci quale giudizio verrà dato, domani, alle nostre azioni.

 

Nel giudizio ultimo Dio non pone se stesso al centro, ma si dimentica dentro i diritti dei poveri, dove sogna un uomo senza fame e lacrime, senza prigioni e malattie, felice e salvo, simile a Lui.

Il futuro, come i Regno, non si attende solamente, si genera; il nostro cielo, il nostro avvenire è frutto del bene che io e tu, che tutti abbiamo donato a chi oggi avviciniamo.