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Picture diary on web


No!
Non un altro album di foto delle vacanze


Mai piu’ senza plettro

Sto andando a casa quando mi accorgo che nella hall di Kings Cross c’e’ un po’ troppa gente ed un po’ troppo rumorosa.
Mi avvicino e c’e’ l’atmosfera di quando in mezzo al capannello di gente c’e’ qualcuno che fa spettacolo.
Così era; ma erano ragazzini, non i soliti attempati buskers che cantano Springsteen e Dylan.
Ed avevano tutti la stessa maglietta; nera, con scritto *GIGS* (concerti).
Era una sort di contest tra le secondary school londinesi; un palco unico su cui si alternavano le band; in realtà nessun palco, a dire il vero; perché, senza nessun rialzo da terra avevano appoggiato un amplificatore da chitarra (volume bloccato) con relativa chitarra; un amplificatore da basso (volume bloccato) con relativo basso, un asta e relativo microfono per la voce; una tastiera elettrica amplificata ed una batteria che consisteva in un rullante da allenamento ed un cilindro di cartone (praticamente un fustino di detersivo).
E tutti dovevano suonare quegli stessi strumenti lì.

Bella, come idea.
Mi son fermato ad ascoltare un paio di gruppi che suonavano ovviamente malissimo.
Però eran carini ed alcuni singoli membri avrebbero anche potuto essere giudicati promettenti.

Stavo per girarmi ed andare verso l’uscita che sbocca davanti a casa mia, quando noto che il gruppo che sta per iniziare deve avere qualche difficoltà, perché non cominciano.
Si interrogano tra di loro con aria un po’ smarrita.

Poi la bassista chiede, rivolta verso il pubblico: *Does anybody have a pick?* (qualcuno ha un plettro?).
E’ il mio momento; alzo sobriamente la mano destra senza farmi notare troppo e faccio cenno col capo che io ne ho uno; e mi muovo con passo sicuro verso il simil-palco per prestarglielo.
Nell’avvicinarmi sento la folla dei tifosi – probabilmente i loro compagni di classe – che plaude alla mia prontezza e generosità; allora faccio una specie di mezzo giro su me stesso come a salutarli e a ringraziarli, sentondomi per un attimo sul palco con loro.
Arrivo davanti alla ragazzina che suona il basso, apro fiero il portafogli e infilo le dita, a colpo sicuro, laddove so di tenere i plettri.
Non ci sono.
Dove sono?
Non ci sono e basta.
E improvvisamente ricordo anche di averli lasciati a casa, insieme alla patente e ad altre cose che non mi sarebbero servite.

Vorrei sprofondare, ma mi conviene ripiegare su un più umile ed ovvio: *Sorry, I must have left them home*. (scusa, devo averli lasciati a casa)
E torno nel gruppo degli astanti imbarazzato ed avvilito.
E poi sgattaiolo fuori senza farmi notare, pian piano, tornandomene a casa con la coda tra le gambe.

 

 

 

Mai piu’ senza plettro.
A settembre porto anche l’armonica, anzi.
Quella in Sol, la piu’ adatta alla mia voce.
Ma comunque mai piu’ senza plettro.


La gente si divide tra chi…

Una scultrice tedesca ha esposto una scultura a Trafalgar Square.
Un gallo blu, enorme; e pesantissimo.
(a vederlo non si direbbe, sembra di gomma…..ma non c’entra questo)
Critiche.
Dall’Italia e da altri paesi benpensanti:
Alcune, purtroppo, anche dall’Inghilterra stessa.
Cosa ci fa un gallo blu ed enorme, francese e ridicolo, in una piazza marmorea e seria come Trafalgar?

Beh, intanto e’ un segno di pace.
Una scultura simbolo della pacificazione tra i grandi popoli europei (Inghilterra e Francia, Germania (nazione della scultrice); e senza dimenticare che la piazza celebra una vittoria sulla Spagna.

Poi e’ un gallo, cioè un animale mite e quasi ridicolo, specie se contrapposto agli aggressivi e temibili leoni di Trafalgar, che fronteggia indomito e temerario dal suo *plinth* senza minacciarli ma senza darsi alla fuga.
Ed e’ blu; blu come l’acqua delle fontane in un giorno di sole; ed a Londra un po’ di sole lo vedi ogni giorno, anche quando piove.
E l’acqua diventa blu; blu acceso d’estate, quando le fontane si riempiono di gente più di quelle italiane.
Quindi ci sta anche bene, oltre ad essere bello.

C’e’ chi dice che la gente si divida in bianchi e neri, in buoni e cattivi, in ricchi e poveri; io dico che la gente si divide in chi capisce l’arte moderna e chi non.


Physic Garden
Una cosa che amo di Londra e’ il rapporto tra la città e l’arte, come sa bene chi mi segue; e la distanza dal malcostume di considerare i musei, l’arte  e gli spazi pubblici come qualcosa su cui lucrare.
La maggior parte dei musei e degli spazi importanti, lo sanno tutti, sono totalmente gratuiti.
Vado in uno di quelli che non avevo mai visto; il Chelsea Physic Garden.
E’ in fondo a King’s Cross, davanti a Battersea e poco distante da Stamford Bridge; quindi in centro; ma siamo nel paese in cui i giardini di Kew e Regent’s Park - che tolgono il fiato anche a chi di fiori non capisce niente come me – sono considerati parchi minori, se messi a confronto con Hyde, St.James’s, Green, Kensington e Greenwich.
Quindi figuriamoci se avevo mai trovato il tempo di visitare un parco sostanzialmente sconosciuto come quello di Chelsea.


Sono in ritardo per l’appuntamento successivo, quindi sono di corsa; zaino in spalla e passo da studente che va a casa dopo la sesta ora, entro senza nemmeno alzare lo sguardo.
*Mi scusi, signore!*
Mi fermo.
*Potrebbe mostrarmi il biglietto?*
Resto perplesso per un momento, ma solo per un momento.
Tutto sommato sono più abituato a questo atteggiamento qui.
*….Non….non ho il biglietto….c’e’ bisogno di un biglietto?*
*Certo; quello e’ lo sportello.*
*Ah, ok.
Allora, dato che ho solo pochi minuti, posso solo fare un paio di foto d’insieme da qui?*
*No, signore.
Per qualsiasi cosa c’e’ bisogno del biglietto; sennò e’ pregato di uscire; grazie.*

Perfetto.
E legittimo.
Ma orribile.
Esco, ovviamente.
Per pagare la cultura ho già 11 mesi su 12 in Italia; qui no, grazie.

E faccio qualche foto della riva sud di Chelsea, che e’ comunque bella affascinante.

 


Terroni On Clerkenwell
Questa mi mancava ma non lo sapevo.
Nel quartiere di Clerkenwell, (quasi) ovviamente.
Orgoglio e (nessun) pregiudizio.


Le Chiese
Le Messe cattoliche sono spesso bellissime.
Probabilmente e’ cosa dovuta al fatto che i cattolici in Inghilterra, essendo minoranza, vanno tutti in Chiesa; mentre i Protestanti, stragrande maggioranza, frequentano pochissimo.
Cosa uguale ed opposta a quello che accade da noi con i riti protestanti quali le messe gospel al cospetto delle pigri e spesso prolisse liturgie delle nostre domeniche cattoliche.

 

Le Chiese Cattoliche però, sono molto meno belle di quelle protestanti.
Perché, per ovvi motivi storici e religiosi, hanno avuto meno possibilità di essere curate; in tutti i sensi.

Ma, forse proprio per questo, hanno spesso un colore, un sapore, un’atmosfera veramente amichevole e familiare.
In questa, che ho scoperto quest’anno, mi hanno offerto tè e biscotti.
Bello.

 


I dischi non li vendono più

Inutile che ci si giri tanto intorno.
Chi queste cose non le vuole vedere o ha paura di perdere il treno del tempo, e si accanisce dando dei ladri a chi scarica la musica, si rassegni.
I dischi non si vendono più.
Io sono il primo a condannare chi scarica per vendere.
Conosco gente che vorrei vedere in galera perché l’ha fatto e perché lo fa.
E condanno anche chi lo fa senza vendere ma per poi pubblicare; come ad esempio per i siti di fans.
Ma se io voglio solo ascoltare un disco di non facile reperibilità, beh; non fatemi ridere: oggi non si può far altro che scaricarlo.
E’ la precisa volontà di chi li potrebbe vendere ma ha preferito convertirsi al digitale, moltiplicando (non riducendo!!!) a dismisura gli introiti.

Ogni anno, quando vado a Londra, faccio almeno un giro da Waterstones ed all’HMV per comprare libri e dischi.
I libri li trovo sempre.
E, detto per inciso, costano meno che in Italia e, al di là del prezzo, li vendono eccome; sia qui che in Italia.
Li si vende nonostante ebooks & kindles; e forse gli editori qualche domanda dovrebbero quindi farsela.
Vado da HMV per prendere una raccolta di hits che ormai colleziono da anni e un’antologia dei World Party.
Da noi non esistono ne’ l’una ne’ l’altra; e comprare su iTunes ha piu’ vantaggi che svantaggi.
Però ci sono cose che mi rifiuto di scaricare.
Sostanzialmente tutte quelle che si trovano senza fatica.
E questi vorrei comprarli.
Entro e non trovo i World Party.
Chiedo.
Non li hanno.

Chiedo se potrei trovarli in qualche altro HMV, quello di Piccadilly, ad esempio (ero in quello di Oxford Circus).
Dice che no, non e’ possibile; quel negozio non esiste più.
Come non esiste più?
No che non esiste più; e presto chiuderanno anche loro; aggiunge con tono complice.
Perché non si vende più niente, conclude; i dischi non si vendono più.



 

 

Latte

In inglese, latte si dice *milk*.
Nelle catene apparse di recente ad imitazione dei nostri bar, però (Starbucks, Cafe’ Nero…) non esiste la voce *milk* nei menù.
Convinti che sia sostanzialmente impossibile che qualcuno consumi latte e basta (anche da noi e’ così, in effetti) quando chiedi *milk* ti fanno come minimo una decina di domande per sapere se vuoi che te lo scaldino, se lo vuoi con la panna, con la schiuma, con la cannella, col caramello, con qualcosa che ti sei portato via tu, con gli avanzi della cena della loro amatissima nonna.
Ma, soprattutto, ti chiedono se ci vuoi del caffè.
Ma se io chiedo *milk* (latte), perché dovrei volerci del caffè???
E fin qui e’ così anche da noi, ne’ più ne meno.
Ci sono ormai rassegnato.

Ma a Londra adesso c’e’ un’aggravante.
Che le suddette catene hanno inventato il termine *latte* come traduzione del nostro *caffellatte* e/o *latte macchiato* (con tutte le centinaia di variazioni lessicali più o meno idiote che dir si voglia).
Per cui se chiedi *milk* pensano tu possa intendere il *latte* che hanno loro nel menù e quindi ti danno una bella tazza di caffellatte.
Milk, cari inglesi, significa latte.
Anche se latte - in inglese- significa caffellatte.
Ed il fatto che abbiate imparato una parola straniera non significa che non debba più esistere la vostra.
E noi che pensavamo l’esterofilia fosse un problema tutto italiano….

 

Ricordo un bellissimo sketch animato, credo di Bozzetto, sul fatto che siamo l’unico paese europeo a non chiedere *un caffè* e ad intasare i bar con mille richieste di variazioni possibili.
Ho sperato che si arrivasse ad avere anche da noi solo *caffè*, dato che siamo anche gli unici a saperlo fare.
Invece hanno cominciato gli altri a fare il caffè in trecento variazioni diverse.
Ma possibile che si debba sempre esportare il peggio?